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La Stampa Rassegna Stampa
21.05.2003 L'ossessione di Igor Man
Rimane la Palestina, anche se Arafat non è più moneta spendibile

Testata: La Stampa
Data: 21 maggio 2003
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «Quel nodo bagnato di sangue»
Igor Man, in un confuso articolo di prima pagina sulla Stampa del 21-5-2003,che riportiamo integralmente, "commenta" gli ultimi avvenimenti. Ai lettori disorientati offriamo il nostro commento.
LA chiusura dell’ambasciata americana a Riad (cui ha fatto seguito quella inglese, tedesca e italiana) sarà pure «procedura abituale», tuttavia rischia di intossicare i già ruvidi rapporti fra Arabia Saudita e Stati Uniti, legati da una sorta di patto di mutua assistenza stretto dal leggendario re Saud e dal presidente Roosevelt
leggendario Re Saud ? e perchè ? e perchè non Roosevelt,poverino ?
In virtù di codesto «patto d’alleanza» il governo di Washington si impegnò ad aiutare il regno wahabita se e quando questo fosse minacciato nella sua «integrità nazionale e nelle principali sue risorse». Agli Stati Uniti l’Arabia Saudita assicurava la certezza di rifornimenti di greggio ove fosse stato necessario colmare eventuali tagli del Venezuela, del Messico.

Il patto fra la democrazia più aperta e dinamica del Globo e il Paese più chiuso dell’Area del Petrolio, ha funzionato: la prima Guerra del Golfo vide gli Stati Uniti mobilitarsi contro Saddam, reo d’aver invaso il Kuwait, non tanto per riaffermare i principi del diritto internazionale quanto, se non soprattutto, per garantire l’integrità dell’Arabia Saudita
Di più: con l’aiuto dell’egiziano Mubarak, Bush padre mise in piedi una coalizione dove gli arabi moderati andavano a braccetto con la Siria: tutti contro l’odioso Saddam. Costui, vistosi perso, issò la bandiera palestinese e anche qui la Casa Bianca seppe affidarsi alla politica più realista promuovendo la Conferenza di Madrid. Un evento storico: israeliani e palestinesi si incontrarono e dopo essersele cantate presero (miracolosamente) a parlar di pace. Gli accordi di Oslo, l’impegno di Clinton, il rapporto amichevole, fatto di reciproca stima, instauratosi fra Rabin e Arafat discendono tutti dalla prima Guerra del Golfo, dai suoi esiti politici.


Fra Rabin e Arafat non si intaurò mai un rapporto di stima. Rabin sapeva che la pace si fa con i nemici e lui era pronto a farla. Ma di Arafat ebbe sempre l'opinione che dimostrò nella storica fotografia con Clinton. Strinse sì la mano di Arafat, ma l'espressione del volto e il braccio teso quasi a voler segnare la distanza da Arafat, dimostrano il contrario di quanto sostiene Igor Man.
Quella guerra risparmiò Saddam ma smosse, comunque, le acque internazionali riproponendo l’ineluttabilità di risolvere l’atroce conflitto annoso fra israeliani e palestinesi, saldando altresì il fronte dei paesi arabi moderati.

Tutto cambia con l’11 di settembre. La Superpotenza scopre la sua fragilità ma il trauma sfiora la patologia quando l’America è costretta a sospettare dell’amico saudita. La mancata collaborazione fra i Servizi americani e sauditi (Washington la imputa alla «ambiguità» di Riad, che, a sua volta, si sente offesa da «assurdi sospetti»), ha provocato guasti forse irreparabili. Gli Stati Uniti, presi dalla (comprensibile) preoccupazione di non perdere la faccia, anziché privilegiare la guerra al terrorismo, han sfoderato la carta vincente: la potenza militare per vincere sul terreno due volte: cacciando il Tiranno, democratizzando l’Iraq. Affidandosi alla improvvisazione, tuttavia: noi italiani diremmo «allo stellone». Gli attentati della settimana scorsa (Riad, Casablanca, Gerusalemme) e quelli che son seguiti, le difficoltà d’ordine pratico, psicologico, politico in violenta moltiplicazione quotidiana a Baghdad, riaffermano una verità banale ma sgradevole: senza strategia qualsiasi tattica dura lo spazio d’un mattino.

Secondo Igor Man la guerra di liberazione dell'Iraq sarebbe stata basata sull'improvvisazione. Alla faccia, verrebbe da dire, e meno male che Igor Man passa per esperto di cose mediorientali.
I grandi esperti (anglosassoni ed egiziani) non sembrano credere a una rinascita di al-Qaeda. Non pensano esista una centrale poiché la cosiddetta Piovra, ritengono, è un arcipelago del terrore nutrito da un nefasto contagio, da spontaneismo, non una organizzazione dotata di strateghi e di quadri operativi. C’è addirittura chi parla di «ultimi fuochi». Sia come sia un 11 settembre non sembra ripetibile. Rimane, tragico alimentatore d’odio verso l’Occidente cristiano, il problema dei problemi: la Palestina. In antico i pescatori di Tiberiade bagnavano le gomene delle loro barche affinché il nodo marinaio risultasse forte tanto da rendere se non impossibile assai difficoltoso scioglierlo. In Palestina il nodo è la pace. Ma è stato, è, bagnato di sangue e dunque più tempo passa e più diventa difficile scioglierlo
Secondo Igor Man dunque, non c'è una rinascita di Al Quaeda. Citando vaghe fonti (inglesi ? egiziane ? quali ?) non esiste una organizzazione dotata di strateghi. Ma se gli attentati ci sono qualcuno dovrà pur organizzarli. Interessante che negli attentati Man ci veda solo l'odio verso l'Occidente cristiano. Un modo comodo per non dire la verità: gli attentati hanno come mira obiettivi ebraici o israeliani, oppure americani. In più sono avvertimenti a quei paesi arabi che non hanno fatto dell'antisemitismo la loro bandiera. Ma il nostro queste cose non le vede, lui vede solo
il problema dei problemi, la Palestina, dove il nodo è la pace.
Bella scoperta, ma chi l'ha sempre rifiutata la pace, uccidendo innocenti civili per decenni e continuando ad alimentare il terrorismo, remando contro Abu Mazen pur di impedire che si arrivi alla pace ? il suo ex-prediletto Arafat, sempre lui, anche se adesso Man non lo cita più. Ma è sempre Arafat l'ostacolo alla pace. Quand'è che la Stampa lo farà notare,con delicatezza, come si conviene con qualcuno che è convinto di essere un grande esperto del Medio Oriente senza in realtà essere nemmeno più in grado di riferire quello che avviene in relazione al terrorismo ?
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