Il bizzarro ossimoro del New York Times su Israele che “si è ritirato” da Jenin che allo stesso tempo è “occupata” Analisi di Stephen M. Flatow, da Israele.net
Testata: israele.net Data: 15 luglio 2023 Pagina: 1 Autore: Stephen M. Flatow Titolo: «Il bizzarro ossimoro del New York Times su Israele che “si è ritirato” da Jenin che allo stesso tempo è “occupata”»
Il bizzarro ossimoro del New York Times su Israele che “si è ritirato” da Jenin che allo stesso tempo è “occupata”
Analisi di Stephen M. Flatow, da Israele.net
Stephen M. Flatow
Un articolo in rilievo sul New York Times dello scorso 6 luglio, che si occupava delle conseguenze dei recenti scontri armati a Jenin, iniziava con questa frase abbastanza straordinaria: “Mercoledì l’esercito israeliano ha dichiarato di essersi ritirato dalla città occupata di Jenin, in Cisgiordania, dopo un’incursione su larga scala”. E’ ciò che indicherei come la definizione stessa di ossimoro: “una combinazione di parole contraddittorie o incongrue” secondo il dizionario Merriam-Webster (“accostamento nella medesima locuzione di parole che esprimono concetti contrari fra loro”, secondo il Vocabolario Treccani ndr). Ai classici esempi (lucida follia, silenzio eloquente) si potrebbe oggi aggiungere Jenin che, stando al New York Times, è una città “occupata” dagli israeliani, ma è anche una città nella quale gli israeliani hanno effettuato “un’incursione” e dalla quale si sono “ritirati”. A quanto pare, nessuno al New York Times ha notato che se gli israeliani stessero davvero “occupando” la città, non potrebbero invaderla e non si ritirerebbero da essa. Sarebbero sempre lì. Il fatto è che non sono affatto lì. C’è stato un tempo in cui gli israeliani occupavano Jenin. Per la precisione, dal 1967 al 1995. In quegli anni c’era un governatore militare israeliano e un’amministrazione militare che governava la città. C’erano truppe israeliane che pattugliavano le strade e mantenevano l’ordine. Poi se ne andarono. Nel quadro dell’attuazione degli accordi detti “Oslo Due” del settembre 1995, gli israeliani ritirarono tutti i loro governatori e amministratori militari e le loro truppe dalle città dove risiedeva il 98% degli arabi palestinesi. Compresa Jenin. L’“occupazione” ebbe fine, alla lettera. Ma secondo il New York Times no, non è così. Altre tre volte, nello stesso articolo del 6 luglio su Jenin, il quotidiano scrive che Israele “occupa” aree palestinesi. Uno dei passaggi cita un “ex militante” (cioè un terrorista processato e condannato) di nome Nidal Naghniyeh che si lamenta del fatto che l’Autorità Palestinese non sia stata capace di “difenderci dall’occupazione”. Naghniyeh ha le allucinazioni? Pensa di vedere ogni mattina a Jenin truppe israeliane d’occupazione e un governatore militare israeliano? Ovviamente no. Vive a Jenin, e sa bene che non ci sono israeliani che occupano la città. Ma per Nidal Naghniyeh e molti altri arabi palestinesi, la parola “occupazione” non significa ciò che significa per il New York Times. Per Naghniyeh e compagni, l’esistenza stessa di Israele è una “occupazione”, di qualunque parte della “Palestina”. Non occorre credermi sulla parola. Basta guardare le mappe della “Palestina” usate dall’Autorità Palestinese nei suoi uffici, nelle scuole e nei mass-media: mostrano tutto Israele come “Palestina occupata”. Si leggano le piattaforme ufficiali di Hamas, Fatah e Jihad Islamica Palestinese o di qualsiasi altro gruppo terroristico: descrivono tutto Israele come “Palestina occupata”. Nelle loro dichiarazioni, i dirigenti arabi palestinesi usano abitualmente la parola “Occupazione”, con la O maiuscola, al posto di Israele in frasi come “oggi l’Occupazione ha massacrato dei palestinesi indifesi”. Non usano la parola “occupazione” per descrivere la realtà sul terreno degli arabi palestinesi. Lo usano come un eufemismo al posto di “Israele” per ribadire che la presenza di Israele a Tel Aviv e Haifa, l’esistenza stessa dello stato d’Israele, è un’occupazione illegittima di terra araba. I giornalisti americani e occidentali che simpatizzano con la causa palestinese hanno tutto l’interesse a perpetuare il mito che Jenin e le altre città palestinesi siano ancora “occupate”. Perché? Perché se Israele è un “occupante”, allora è Israele il responsabile della mancanza di pace in Medio Oriente. Se Israele “occupa” territorio arabo, allora la violenza araba sembra giustificata o perlomeno comprensibile. Se c’è una “occupazione” israeliana, allora gli ebrei che abitano in Giudea-Samaria possono essere demonizzati come strumenti dell'”occupazione”. Per perpetuare l’accusa di “occupazione” è necessario che le persone non ne parlino, non approfondiscano, non si facciano troppe domande. Gli accusatori di Israele contano sul fatto che, nelle interviste, nessuno chieda loro di spiegare il concetto. Ho provato a bucare questa cortina di silenzio. Non è facile. Qualche anno fa, ho chiesto a un personaggio di spicco della sinistra ebraica americana come poteva affermare che Israele “occupa” gli arabi palestinesi dopo che era stato nelle città palestinesi e aveva visto con i suoi occhi che non c’erano israeliani. La sua risposta: l’esistenza di posti di blocco israeliani costituisce un’occupazione. Questo è tutto quello che è riuscito a tirar fuori: una manciata di posti di controllo, per la maggior parte collocati lungo i confini di Israele per tenere fuori attentatori e terroristi, esattamente come i posti di controllo in ogni aeroporto del mondo che tengono lontani gli attentatori dai nostri aerei. C’è da sperare che lo sforzo di preservare il mito della “occupazione” non possa continuare all’infinito. A poco a poco le persone potrebbero iniziare a farsi delle domande. Coloro che visitano le città arabe palestinesi potrebbero chiedersi dove siano finite queste famose “truppe di occupazione”. Alcuni giornalisti poco informati chiederanno ingenuamente di intervistare il governatore militare israeliano della “Jenin occupata”, solo per sentirsi dire che il governatore se n’è andato da decenni. Forse un parlamentare curioso, in visita in qualche città arabo-palestinese, domanderà come mai gli unici uomini armati nella città “occupata da Israele” appartengono alle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese (e altre fazioni palestinesi). Forse così il mito dell’”occupazione israeliana” comincerà a incrinarsi. Parliamoci chiaro. Non è una questione semantica. E’ una questione che riguarda la natura stessa del conflitto arabo-israeliano, e ci costringe a ricordare che la guerra arabo-palestinese contro Israele non ha a che fare l'”occupazione di Jenin”, quanto piuttosto con l'”occupazione” di Tel Aviv e Haifa.