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israele.net Rassegna Stampa
05.07.2023 Israele non vuole conquistare Jenin, ma impedire che continui a funzionare come centrale del terrorismo islamista
Analisi di Yaakov Lappin

Testata: israele.net
Data: 05 luglio 2023
Pagina: 1
Autore: Yaakov Lappin
Titolo: «Israele non vuole conquistare Jenin, ma impedire che continui a funzionare come centrale del terrorismo islamista»
Israele non vuole conquistare Jenin, ma impedire che continui a funzionare come centrale del terrorismo islamista
Analisi di Yaakov Lappin

Yaakov Lappin — The MirYam Institute
Yaakov Lappin

Jenin: Israeli military launches major operation in West Bank city - BBC  News

L’ampia operazione delle Forze di Difesa israeliane incentrata su Jenin ha lo scopo di invertire la tendenza di questa città palestinese e di alcune parti della Samaria (Cisgiordania nord) a diventare roccaforti del terrorismo. Hamas, alla quale è in vario modo è affiliato circa il 20% dei residenti di Jenin secondo le stime delle Forze di Difesa israeliane, solo quest’anno ha trasferito milioni di shekel agli operativi a Jenin, e può contare su decine di suoi agenti attivi nella città. Da parte sua, la Jihad Islamica Palestinese, particolarmente forte a Jenin, può contare sull’affiliazione di circa il 25% della popolazione della città. Anche la Jihad Islamica Palestinese ha trasferito milioni di shekel ai suoi agenti che vi operano. A questi gruppi vanno aggiunte le fazioni terroristiche locali. Le sedi centrali della Jihad Islamica Palestinese a Gaza e in Siria investono sforzi e fondi significativi a Jenin, inondando di armi e addestramento militare la città (che sorge a circa 6 km dalla ex linea armistiziale fra Cisgiordania e Israele ndr) con il dichiarato obiettivo di colpire sia i civili che i militari israeliani. Da tempo Hamas e Jihad Islamica Palestinese cercano di innescare un’escalation in Giudea e Samaria, e Jenin è il punto critico prescelto. Oltre alle armi e munizioni di cui è piena la città (lunedì le forze israeliane hanno preso il controllo di una moschea da dove i i terroristi sparavano sui soldati e vi hanno scoperto tunnel sotterranei contenenti vari armamenti ndr), vi è stato anche un considerevole incremento della produzione in loco di armi ed esplosivi. L’operazione avviata lunedì, che coinvolge una forza di terra delle dimensioni di una brigata in gran parte composta da unità di commando sostenute da forze aeree, è iniziata con un attacco di droni all’una e un quarto del mattino contro un centro di comando e controllo nel campo palestinese di Jenin utilizzato dal “Battaglione Jenin”: il nome-ombrello delle fazioni terroristiche locali che ricevono armi e sostegno da Jihad Islamica Palestinese, Hamas e, in una certa misura, direttamente dall’Iran. Negli ultimi mesi, da Jenin sono partiti una cinquantina di attacchi terroristici e almeno 19 terroristi hanno trovato rifugio a Jenin dopo aver condotto attentati un po’ in tutta la Giudea e Samaria. In pratica, la Samaria settentrionale è diventata un epicentro del terrorismo da cui è originata una serie di attacchi letali contro civili israeliani. L’esercito israeliano ha chiarito che obiettivo dell’operazione in corso non è quello di conquistare posizioni sul terreno, ma di colpire le potenzialità della crescente minaccia terroristica nella città: officine per la fabbricazione di ordigni, depositi di armi, posti di comando ecc., nonché gli stessi terroristi, sia quelli affiliati a Hamas e Jihad Islamica Palestinese, sia quelli che non lo sono. Tre minuti dopo l’attacco aereo d’apertura, Israele ha iniziato a muovere le sue forze di terra nel campo palestinese di Jenin. Nell’ora successiva le forze israeliane hanno di nuovo colpito dal cielo, in parte per sviare i terroristi e aprire la strada alle forze di terra. La necessità stessa dell’intervento della forza aerea dimostra come intere parti di Jenin siano finite sotto il pieno controllo delle fazioni armate locali e della Jihad Islamica Palestinese, e quanto l’Autorità Palestinese abbia invece perso ogni controllo sulla città. La possibilità per le Forze di Difesa israeliane di intervenire contro le fazioni terroristiche ne era risultata erosa a livello estremamente pericoloso, un fatto che era già emerso chiaramente lo scorso 19 giugno quando le Forze di Difesa israeliane hanno dovuto fare ricorso ai missili di un elicottero da combattimento Apache per disimpegnare un veicolo blindato Panther rimasto bloccato a Jenin sotto il fuoco dei terroristi a causa di un ordigno telecomandato palestinese da decine di kg di esplosivo che aveva danneggiato il veicolo e ferito cinque soldati. Lo stesso vale per l’attacco condotto il 22 giugno con un velivolo telecomandato Hermes 450 contro tre terroristi armati di Jenin che stavano per effettuare un altro attentato con armi da fuoco. Il 26 giugno, Hamas ha apertamente rivendicato il lancio di due razzi dalla città: gli ordigni artigianali non hanno raggiunto il territorio israeliano, ma hanno suonato un campanello d’allarme estremamente grave su cosa potrebbe accadere se si consentisse il proseguimento del processo di “libanizzazione” di Jenin. Il caso di Gaza è lì da vedere. Il ricorso alla forza aerea per la prima volta in questo settore dal 2006 rispecchia l’entità della minaccia e la necessità di mettere in campo tutto ciò che è necessario per mantenere in sicurezza i militari delle Forze di Difesa israeliane impegnati nelle operazioni anti-terrorismo. Al momento in cui vengono scritte queste righe, sarebbero otto i palestinesi armati rimasti uccisi negli scontri a fuoco da lunedì mattina. E’ probabile che nelle prossime ore i terroristi, inizialmente colti alla sprovvista dall’offensiva israeliana, cercheranno di riorganizzarsi e attaccare. L’operazione, tuttavia, riflette in ultima analisi un problema strategico più ampio, vale a dire il vuoto di potere in Samaria e il caos che vi imperversa, con i terroristi islamisti decisi a insediarvisi efficacemente. Israele non può permettere che questa tendenza si diffonda anche verso sud. In definitiva, Israele ha deciso da tempo che non risponde al suo interesse assumere il controllo diretto delle Aree A della Cisgiordania (sotto Autorità Palestinese in base agli accordi di pace ndr), ma certamente non può permettere che Hamas, Jihad Islamica e altri soggetti sotto influenza iraniana subentrino in quelle aree approfittando della impotenza, corruzione e inettitudine dell’Autorità Palestinese, che rimane comunque l’opzione strategica “male minore” dal punto di vista dell’establishment della difesa israeliana. Tuttavia, la capacità dell’Autorità Palestinese di ristabilire un minimo grado di controllo a Jenin è molto in dubbio in questa fase. Ma se non è in grado di farlo (cosa cui è impegnata dagli accordi firmati), allora Israele dovrà continuare a condurre operazioni di “sfalcio” come questa, per impedire che vada avanti la libanizzazione della Samaria.
(Da: Israel HaYom, 3.7.23)

http://www.israele.net/scrivi-alla-redazione.htm

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