È ora che gli ebrei rimasti in Russia se ne vadano
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
“Se necessario, come in passato abbiamo impedito la caduta di Assad, così noi eviteremo la caduta di Putin.” Questa sfacciata affermazione è stata pubblicata sabato scorso su un canale di Telegram collegato al Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) del regime iraniano, mentre un mondo stupito assisteva allo svolgersi di un ammutinamento in Russia che è stato rapidamente soffocato prima che si verificasse qualsiasi violenza significativa. L'IRGC ha tutte le ragioni per rimanere fedele al Presidente russo Vladimir Putin, che ha consolidato la sua alleanza militare con l'Iran parallelamente alla sua aggressione contro l'Ucraina. La Russia è stata un alleato diplomatico e strategico chiave dei mullah iraniani, comprendendo molto bene la loro capacità di seminare disordini in una regione che è stata dominata dagli interessi statunitensi per quasi un secolo. La loro alleanza si era già manifestata prima, durante la guerra civile siriana del decennio precedente, quando Putin e i suoi accoliti dell'IRGC massacrarono decine di migliaia di civili per mantenere la morsa del dominio del Presidente Bashar Assad, e poi, più recentemente, in Ucraina, dove la Russia ha schierato centinaia di droni d'attacco di fabbricazione iraniana con effetti letali contro obiettivi civili e militari. Probabilmente è lecito affermare che nel febbraio del 2022, quando Putin lanciò la sua spietata invasione, nessuno a Mosca o a Teheran immaginava che l'IRGC si sarebbe offerto di difendere il Cremlino da mercenari scontenti meno di due anni dopo. Il fatto che un tale pensiero sia anche solo pensabile la dice lunga sulla debolezza che si insinua nell'ufficio del dittatore russo. Per due decenni, Putin ha coltivato l'immagine del leader globale come un duro, sfoggiando con orgoglio la sua cintura nera di taekwondo (un onore revocato dalla World Taekwondo Association nel marzo del 2022, tra l'altro), cavalcando a torso nudo a cavallo, rimpiangendo spudoratamente la caduta dell'Unione Sovietica, alimentando una classe di oligarchi ma persuadendo di continuo le banche e le corporazioni occidentali, avide e miopi, che la Russia era un Paese redditizio per fare affari. Secondo una valutazione di Bloomberg, in seguito all'invasione dell'Ucraina, gli oligarchi, per anni strumenti di Putin per accumulare beni immobili e altre attività nei Paesi occidentali, hanno perso più di 300 milioni di dollari al giorno sotto il peso delle sanzioni internazionali mentre l’esercito della Russia, il suo potere forte, si è rivelato essere corrotto, incompetente e irrimediabilmente efferato. Putin assomiglia molto ad un imperatore, o dovrei dire allo zar, ma non veste in modo adeguato. Eppure la debolezza del regime e il fallimento del regime sono due concetti diversi. Un regime debole può ancora essere pericoloso, in particolare quando il suddetto regime è armato di armi nucleari, come lo è la Russia. Questo è uno dei motivi principali per cui, nonostante l'instabilità senza precedenti per il regime di Putin, né l'America né nessun altro Stato occidentale seguirà l'esempio di Napoleone Bonaparte, quello cioè di intraprendere la guerra contro i russi; come disse l'illustre feldmaresciallo britannico Lord Montgomery in un discorso del 1962, in una visione che rimane valida oggi come allora: “La regola numero uno a pagina uno del Libro della Guerra è: ‘Non marciare su Mosca.’” Se le macchinazioni dello scorso fine settimana sono qualcosa su cui basarsi, Yevgeny Prigozhin, il capo del criminale Gruppo Wagner di mercenari russi, è parso aver assorbito quella lezione prima che fosse troppo tardi. Ma se Prigozhin non è più disposto a spodestare Putin, chi lo farà?
Vladimir Putin
Questa è una domanda con cui devono confrontarsi i Cremlinologi. Tuttavia, si può prevedere con maggiore sicurezza che la fine dei giochi per Putin, o addirittura per i suoi avversari all'interno della Russia, sarà accompagnata da un aspro conflitto sociale e politico, determinato dalla carenza di cibo e di beni di prima necessità in patria e da un'avventura militare criminale all'estero. E qui entrano in ballo (ovviamente!) gli ebrei. Prima dell'avvento dei nazisti in Germania, la Russia aveva la reputazione, del tutto giustificata, di essere il Paese più antisemita sulla terra, dato che sottoponeva la sua popolazione ebraica segregata a raccapriccianti pogrom e a una propaganda vile e demonizzante. L'odio era così profondo che influenzò persino le relazioni della Russia imperiale con gli Stati Uniti, quando, nel 1911, il Presidente William H. Taft abrogò un trattato di amicizia di lunga data dopo che i russi avevano annunciato che ai cittadini americani di fede ebraica era vietato l'ingresso nel loro Paese. Un disastroso crollo del regime di Putin potrebbe ancora far rivivere e scatenare queste forze storiche. Nell'ultima settimana, i due religiosi ebrei che portano il titolo di “Rabbino capo dell'Ucraina” (frutto di una disputa intracomunitaria irrisolta del 2005) hanno avvertito che “pogrom” e violenze potrebbero ancora essere la sorte degli ebrei rimasti in Russia, esortando loro di andarsene il prima possibile. Il messaggio di entrambi i rabbini agli ebrei russi era semplicemente questo: qualunque sia lo sviluppo di questa situazione, per voi finirà male. “Non avevo una piattaforma ad hoc, ho solo cercato di dire loro attraverso i social network: andatevene via da lì, perché potrebbe essere troppo tardi”, così in un'intervista rilasciata ad un organo di stampa ucraino, il rabbino Moshe Azman ha raccontato i suoi sforzi per raggiungere gli ebrei della Russia. Separatamente, il rabbino Yaakov Dov Bleich ha affermato che il tanto sbandierato filosemitismo di Putin può essere un fantasma. “Putin è stato Presidente o Primo Ministro in Russia per 23 anni. Nel corso degli anni, ha espulso 16 rabbini dalla Russia”, ha osservato il rabbino Bleich nella sua intervista. “Poiché Putin dice di amare così tanto gli ebrei, ho una domanda da fargli: se ami gli ebrei, perché questo atteggiamento nei confronti dei rabbini e della comunità? Perché c'è spesso un tale antisemitismo da parte delle autorità russe?”
In Israele, la discussione sull'opportunità di trasferire gli ebrei rimasti in Russia nella loro antica patria si è accesa dopo il fallito ammutinamento di Prigozhin. La settimana scorsa, il Canale 13 della Tv israeliana ha rivelato l’esistenza di un documento in cui si discuteva la possibilità di una “grande ondata di immigrazione dalla Russia”, insieme alla necessità di “prepararsi garantendo il corretto funzionamento delle istituzioni ebraiche e israeliane in Russia.” Nel frattempo, nel parlamento israeliano, il membro di opposizione della Knesset, Oded Forer, Presidente della sua Commissione per gli Affari di Immigrazione, Assorbimento e Diaspora, ha accusato con rabbia il governo di coalizione del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di aver “abbandonato” gli ebrei russi. Forer ha quindi esortato l'Agenzia Ebraica, che sta affrontando azioni legali da parte delle autorità russe per sospendere le sue operazioni nel loro Paese, “a preparare una serie di aeroplani dedicati” per portare gli ebrei russi in Israele “prima che sia troppo tardi.”
Nelle settimane e nei mesi che verranno, sarà messo alla prova l'impegno del governo israeliano a questo proposito. Dovrebbe essere consapevole della ricca storia di Israele nel sostenere e portare in salvo le comunità ebraiche martoriate nello Yemen, in Etiopia e, naturalmente, nell'Unione Sovietica. Perché il tempo per gli ebrei di lasciare la Russia infine è arrivato.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate