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La Repubblica Rassegna Stampa
02.07.2023 L'Europa, Meloni e il caos francese
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 02 luglio 2023
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'Europa, Parigi e una premier che non vuole nemici a destra»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 02/07/2023, a pag. 1, con il titolo “L'Europa, Parigi e una premier che non vuole nemici a destra” l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

Even in Europe, Meloni wants to change everything and will be able to  change little
Giorgia Meloni

Nella Douce France fioriscono i semi dell'odio, coltivati nel fango dell'emarginazione e annaffiati dal mito dell'assimilazione. E in Italia ci chiediamo: chi governa il Paese, la Sciamana Giorgia o la Presidente Meloni? Nell'ultima settimana la trasfigurazione della premier ha prodotto esiti sconcertanti. L'abbiamo vista a Roma, a Palazzo Montecitorio, strabuzzare gli occhi e urlare invasata, calcando il truce accento romanesco come ai bei tempi dei comiziacci a Colle Oppio: "Non mi farò intimidire!", ha gridato all'aula sorda e grigia, dove bivacca un'opposizione già intimidita di suo. Poi l'abbiamo rivista a Bruxelles, a Palais Berlaymont, con lo sguardo addolcito dai riti del potere, il tono basso dell'ora più grave, l'eloquio più forbito e appena sfiorato da una lontana eco di Garbatella: "E' passata l'agenda italiana", ha sussurrato ai cronisti, quasi attoniti per l'imprevista e ormai rara emozione del "punto stampa". Avevamo temuto, per le sue intemerate da tribuna della plebe capitolina. Poi avevamo gioito per il suo ritrovato equilibrio da statista "fuori porta". Speravamo che il cambio di passo preludesse a un sussulto di responsabilità istituzionale e a un serio riposizionamento politico.

Ma ci eravamo sbagliati. Al Consiglio Europeo abbiamo visto in scena una Meloni in maschera. La Sorella d'Italia ha mutato la forma, offrendosi persino di fare da mediatrice sul dossier migranti con i Parenti-Serpenti dell'Asse di Visegrad. Non ha cambiato la sostanza, incassando il no secco di Orban e Morawiecki ma giustificandone e quasi condividendone il veto, perché in fondo l'ungherese e il polacco "difendono il loro interesse nazionale". I sovranisti sono così. Come gli scorpioni della favola, chiedono un passaggio alla rana per attraversare il fiume ma a metà del guado la pungono e mentre affogano con lei fanno giusto in tempo a dirle "mi dispiace, è la nostra natura". Stavolta, pur essendo scorpione anche lei, Giorgia s'è improvvisata rana. Ma i falsi amici Viktor e Mateus l'hanno punta, e così sono annegati tutti insieme, facendo naufragare il patto europeo sull'immigrazione. È la loro natura: se c'è da blindare una frontiera, per i demiurghi e i demagoghi dello Stato-Nazione non c'è accordo che tenga. Neanche tra di loro. Parafrasando il grande Massimo Troisi, che nei Favolosi Ottanta sosteneva "c'è sempre qualcuno più meridionale di qualcun altro", in questi Terribili Venti c'è sempre qualcuno più sovranista di qualcun altro. Al di là dei tristi destini dell'Europa, che incappa nell'ennesimo fallimento, come le succede ormai da un ventennio. Al di là delle drammatiche sorti dei profughi, per i quali non ci sono sbocchi accettabili, se non il solito principio "aiutiamoli a casa loro" stravolto dall'orrore (modello Libia) o avvolto nel tricolore (modello Tunisia). Al di là degli entusiasmi ipocriti per la "storica affermazione delle frontiere esterne" (riconosciute dalla Ue già dal 2015) e dei silenzi colpevoli sulle frontiere interne (rivendicate per impedire i ricollocamenti obbligatori).

 Quello che è interessante capire, adesso, è che scelte farà il nostro governo di qui alle elezioni per l'Europarlamento del 2024. Quale sarà la sua evoluzione in Italia e la sua collocazione nell'Unione. Non solo sulle migrazioni, ma sui grandi temi dell'economia (dal Pnrr al Patto di Stabilità) e della società (dai diritti al Green Deal). L'Europa è stata al centro del voto del 25 settembre 2022. Lo conferma l'indagine Itanes: la Ue rappresenta ormai una costante ma netta frattura sociale e politica tra gli elettori di destra e di sinistra. E all'interno delle coalizioni, "l'euroscetticismo demarca la distanza tra Lega e FdI, con l'appendice di Forza Italia". Nell'elettorato delle tre destre, l'eurofobia in generale si traduce in "avversione alla cessione di sovranità nazionale in ambiti ritenuti cruciali (economia, difesa) oppure di ostilità rispetto a successive fasi di ampliamento delle competenze di Bruxelles". Più nello specifico, l'ostilità verso l'Europa quale istituzione sovranazionale e l'Unione quale organismo di governo è a tutti gli effetti un fattore identitario dell'attuale maggioranza. Nella media degli ultimi dieci anni il partito che ha raccolto più elettori eurofobici è la Lega, con il 40%, seguito da Fratelli d'Italia con il 37 e da Forza Italia col 26 (in mezzo c'è M5S, con il 32%, e più in basso nella classifica il Pd, con l'11). Al cuore dell'antieuropeismo di queste constituency elettorali ci sono le ricette populiste e "le posizioni decisamente estreme contro l'immigrazione", che restano una leva politicamente molto forte per l'aggregazione del consenso di almeno due dei tre partiti oggi al potere. Ecco la ragione che impedisce a Meloni di compiere quella "svolta moderata" di cui la democrazia italiana avrebbe un disperato bisogno. Quel cambio di passo necessario a far nascere la destra "normale" (antifascista e costituzionale, repubblicana e popolare) che lei non ha mai rappresentato e che il Paese non ha mai conosciuto. E questo spiega anche perché nella vicenda italiana continua a vedere troppi "gufi" (da Lagarde a Gentiloni) e a polarizzare tutti gli scontri (dalle droghe al Mes).

Mentre nella tregenda europea continua ad essere una e bina, appunto: la Presidente Meloni che siede composta a tavola con i padri fondatori Scholz e Macron, e la Sciamana Giorgia che resta ammaliata dal subdolo baciamano dei cugini sabotatori Orban e Morawiecki. Al netto dei molti agnostici che l'hanno scelta per dare "una chance a chi non ha ancora deluso" (di nuovo Itanes), la parte più cospicua dei suoi elettori l'ha votata per sfasciare la Casa Europa matrigna e globalista, o tutt'al più per trasformarla in Fortezza xenofoba e protezionista. Per usare una sua infausta definizione: anche questa è "la matrice", e lei non può cancellarla. Con tanti saluti al velleitario progetto di federare popolari e conservatori europei e di scardinare così la "maggioranza Ursula" che elesse Von Der Leyen nel luglio del 2019, la nostra premier non può (ancora) uscire dal Cerchio Tragico dell'Internazionale Sovranista teorizzata e foraggiata a suo tempo dall'apprendista stregone di Trump, Steve Bannon. Forse potrà provarci tra un anno, in base al responso delle urne del prossimo giugno. Per ora può solo cambiare le sue maschere, non la sua natura.

Ma c'è di più e di peggio: paradossalmente, la fase potrebbe portare a un'ulteriore radicalizzazione dei conflitti. E qui subentra la Francia, la rivolta delle banlieue e il suo potenziale distruttivo ed emulativo (come ha scritto ieri Massimiliano Panarari). Lo schema, anche in questo caso, vale prima di tutto per l'Europa, e per rendersene conto basta rileggere le parole dette dai sovranisti dell'Est a margine del Consiglio Ue. Secondo Morawiecki "Macron ha dovuto lasciare il vertice per affrontare auto in fiamme, vetri rotti, criminalità: è questo che vogliamo vedere in Polonia, o gli europei dovrebbero essere padroni a casa loro?". Secondo Orban "la Francia brucia, e Bruxelles vuole costruire migliaia di ghetti per i migranti in giro per l'Europa?". Questa è l'aria che tira. Ed è assai mefitica. Lo stesso meccanismo è già scattato in Italia, dove Salvini che rispolvera toni da estate calda simil-Papeete: "Siamo in Occidente o all'inferno? Questa spirale di violenza in Francia, alimentata dalla solita vigliacca sinistra, è il risultato di anni di errori e follie in tema di immigrazione, soprattutto islamica, di permissivismo giudiziario, di periferie in mano alla criminalità, di tolleranza verso comportamenti inaccettabili". La deriva implicita nel ragionamento del Capitano è chiarissima. Dal punto di vista di un certo establishment, questo Luglio Francese è quasi uno stress-test. Questa insurrezione violenta partita dagli ultimi e dai penultimi, che nasconde una rabbia e un disagio molto più estesi e profondi della reazione all'assassinio di un ragazzo nero da parte della polizia, può innescare un paradigma repressivo/securitario valido ovunque. Nel campo di forze del conservatorismo duro e puro è già partita la rincorsa, in nome di quell'assioma politico che Robert Kaplan racconta nel suo ultimo saggio: "L'ordine precede la libertà, perché senza ordine non c'è libertà per nessuno" (La mente tragica, Marsilio). Meloni non può permettersi il lusso di lasciare che il cinico Salvini corra libero e irresponsabile per le autostrade dell'ideologismo più sfrenato che lei ha lasciato parzialmente sguarnite. Dunque lo insegue, lo affianca e se può lo sorpassa. "Pas d'ennemi à la gauche", fu un tempo la regola che divise, indebolì e infine condannò i vecchi leader della sinistra. "Nessun nemico a destra", oggi, rischia di diventare il circolo vizioso e venefico in cui la Sorella d'Italia ingabbia se stessa e imprigiona l'intero Paese.

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