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Il Foglio Rassegna Stampa
27.06.2023 Gli amici di Putin in Asia
Analisi di Giulia Pompili

Testata: Il Foglio
Data: 27 giugno 2023
Pagina: 1
Autore: Giulia Pompili
Titolo: «Gli amici del Cremlino»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/06/2023, a pag.1, con il titolo "Gli amici del Cremlino" l'analisi di Giulia Pompili.

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Giulia Pompili

Pechino e la guerra in Ucraina: gli scacchi cinesi di Xi Jinping
Putin con Xi Jinping

Roma. Domenica 120 mila nordcoreani hanno preso parte a una manifestazione di massa nello stadio centrale di Pyongyang in occasione della “giornata di lotta contro l’imperialismo statunitense”. Era l’anniversario del 25 giugno del 1950, quando la Corea del nord, oggi uno dei paesi più sanzionati e isolati del mondo ma dotato di armi nucleari, iniziò l’invasione del Sud con un attacco a sorpresa. Quella guerra oggi viene reinterpretata dalla dittatura nordcoreana come una guerra a cui l’allora leader Kim Il Sung era stato “costretto”, a causa delle continue provocazioni belliche americane. Ricorda qualcosa? Per i partner più vicini al Cremlino, come Cina, Corea del nord e Iran, a fare da collante politico con la Russia sono le posizioni antioccidentali e antiamericane. Ma è soprattutto Putin a incarnare questo modello, e se lui si mostra fragile, sotto attacco, nel caos, che succede? Ieri il viceministro degli Esteri di Pyongyang, Im Chon Il, ha incontrato l’ambasciatore russo in Corea del nord Alexander Matsegora, e ha offerto a Mosca “tutto il sostegno necessario” per far fronte “agli ammutinamenti”, come quelli a cui si è assistito sabato scorso da parte del gruppo Wagner: “Il valoroso esercito e popolo russo supereranno le difficoltà ed emergeranno eroicamente vittoriosi nell’operazione militare speciale contro l’Ucraina”, ha detto il viceministro, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa nordcoreana Kcna. Dichiarazioni simili a quelle del ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, che ha detto di sostenere lo “stato di diritto” a Mosca, e in una telefonata con il suo omologo Sergei Lavrov ha detto di sperare che “la Russia superi questa fase”. Anche l’agenzia di stampa Tasnim, vicina al corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, ha spiegato il tentativo di colpo di stato da parte del gruppo guidato da Evgeni Prigozhin dicendo che “la Nato ha orchestrato la ribellione per compensare il fallimento della controffensiva ucraina”. La Cina ha tenuto per lungo tempo molto basse le notizie sugli avvenimenti in Russia di sabato. Il ministero degli Esteri di Pechino domenica notte – più di ventiquattr’ore dopo l’inizio della crisi – in uno scarno domanda-risposta, ha fatto sapere che “la vicenda del gruppo Wagner” è una “questione interna alla Russia”: in pratica, la stessa linea delle dichiarazioni pubbliche delle cancellerie occidentali. Ma subito dopo, anche se nel paludato e burocratico linguaggio cinese, si legge tra le righe il rinnovato sostegno a Putin da parte di Pechino: “In quanto vicino amichevole della Russia e partner strategico globale di coordinamento per la nuova èra, la Cina sostiene la Russia nel mantenimento della stabilità nazionale e nel raggiungimento dello sviluppo e della prosperità”. Il leader cinese Xi Jinping ha legato la sua immagine a quella di Vladimir Putin sin dal 4 febbraio del 2021, con l’istituzione di una “amicizia senza limiti” che ha il volto dei due leader. Anche se la leadership cinese recentemente ha cercato di minimizzare l’importanza della partnership con la Russia agli occhi occidentali, la Cina non ha mai preso le distanze – tantomeno condannato – la guerra di Putin in Ucraina. Anche la sua “proposta di pace” è stata sempre vicina alle richieste di Mosca. Ma è facile immaginare perché i fatti di sabato abbiano allarmato la leadership cinese: una Russia nel caos si apre a possibili destabilizzazioni interne, e se Putin non fosse più l’uomo solo al comando, se la sua leadership fosse messa in discussione, allora mostrerebbe tutta la fragilità di un modello che la Cina sostiene essere superiore a quello democratico. Crollerebbe il castello di carta. Secondo diversi osservatori, non è escluso a questo punto un coinvolgimento più diretto della Cina nella tenuta del potere di Putin. Xu Wenhong, ricercatore di studi russi all’Accademia di scienze sociali cinese, ha detto ieri al China Daily che l’esistenza stessa della Wagner in Russia è “insolita”, e “ricorda il detto cinese sul dare da mangiare a una tigre che poi provoca guai”. Non c’è dubbio che tra gli intellettuali cinesi, dopo i fatti di sabato, la riflessione sul fatto che l’autocrate Xi si sia così tanto legato a Putin sia sempre più profonda. Ma nel frattempo la propaganda cinese spinge un’altra idea: il presidente russo non è mai stato così forte, forze occidentali soffiano sul vento della destabilizzazione perpetrata da personaggi come Prigozhin. Cui Heng, docente alla China-Shanghai Cooperation Organization, ha detto ieri al Global Times – quindi al tabloid cinese in lingua inglese su posizioni molto antioccidentali – che “esagerare le conseguenze dell’incidente fa parte della guerra cognitiva contro la Russia dell’occidente”. Per il Global Times, alcuni “esperti cinesi hanno affermato che l’interpretazione occidentale del tentato ammutinamento di Prigozhin mira ad amplificare alcuni dei problemi interni della Russia per raggiungere l’obiettivo di continuare a indebolire il paese e danneggiare il morale militare dei soldati russi”. Tutti gli amici di Mosca guardano con preoccupazione un indebolimento di Putin, e quindi, per adesso, lo negano. In attesa, forse, di un piano di contingenza.

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