I diritti e la pace dai Balcani al Caucaso Commento di Laura Mirakian
Testata: La Repubblica Data: 24 giugno 2023 Pagina: 29 Autore: Laura Mirakian Titolo: «I diritti motore della pace»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/06/2023, a pag. 29, con il titolo "I diritti motore della pace" il commento di Laura Mirakian.
Laura Mirakian
Esiste una formula infallibile e già sperimentata per evitare aggressioni e guerre. È caduta in disuso per la miopia di leader senza scrupoli e senza un minimo di cultura politica. Mentre tutti noi, concentrati sulle dinamiche geopolitiche, equilibri e squilibri internazionali e nazionali, transizioni energetiche e tecnologiche, abbiamo perso di vista il punto cruciale, una domanda semplice: cosa vuole la gente che finisce per relegare se stessa nel dissenso e nella ribellione? Sostanzialmente due cose, diritto di rappresentanza politica e prospettive di benessere per sé e i propri figli. In altri termini, spazi di libertà politica ed economica. Sembra facile. Ma dittature e democrature non concepiscono né l’una né gli altri. E ignorando ogni prescrizione sancita nella normativa internazionale, ricorrono pressoché automaticamente alla repressione. Con la conseguenza di innescare un circuito vizioso che approda a guerre civili. Seguite spesso da conflitti tra paesi vicini e tra attori internazionali. Perché in ogni crisi, anche apparentemente minori o periferiche, si sviluppano inevitabilmente tre circuiti concentrici, tra protagonisti interni, regionali, e internazionali. Dall’interazione tra i tre circuiti, e all’interno di ognuno di essi, dipendono gli esiti della crisi stessa. Per limitarci al nostro vicinato, è ciò che registriamo nello scenario caucasico che investe il Nagorno Karabakh, o in quello balcanico che ora, come allora, investe il Kosovo. E anche, con le ben più ampie implicazioni del caso, nello scenario russo-ucraino. L’inasprimento delle crisi locali ha una costante in comune, il coinvolgimento di Paesi che, per ambizioni di influenza ammantate da ragioni storico-culturali o di sicurezza, si ritengono legittimati ad intervenire per reprimere. La parola-chiave è diritti. Significa spostare il tema dai confini ai diritti della gente. Sapendo che l’indipendenza non garantisce necessariamente i diritti, si può essere indipendenti e privi di diritti. Significa puntare sul negoziato anziché sulla repressione. La diplomazia non è un toccasana, non produce risultati immediati, è un lavoro paziente fondato sull’ascolto. Ma può condurre alla pacificazione senza lasciare strascichi di infinite sofferenze che inevitabilmente alimentano rigurgiti di conflittualità nel corso degli anni o dei decenni. I casi sopracitati sono emblematici. Se fossero stati previsti i diritti alla minoranza armena del Nagorno-Karabakh dopo la disgregazione dell’ex Unione Sovietica e l’indipendenza dell’Azerbaigian si sarebbero risparmiate guerre e violenze lungo idecenni fino ai giorni nostri. Un’autonomia negoziata tra Baku e Yerevan garantirebbe alla minoranza locale quei margini di libertà necessari all’espressione della propria identità, oltre che sufficiente latitudine per i collegamenti con il Paese di riferimento. Lo stesso dicasi per il Kosovo, passato ad una discussa indipendenza attraverso il bombardamento Nato del 1999 contro i serbi di Belgrado. Milosevic ne fornì ampia occasione, abolendo con un tratto di penna diritti e autonomia della regione. La crisi di oggi in Kosovo è l’onda lunga della crisi di ieri. Se oggi alla componente serba del Kosovo fosse riconosciuta la sua specificità storica e culturale, come l’Unione Europea ha prospettato da tempo con la creazione di una Comunità di Municipalità serbe, probabilmente non assisteremmo al perpetuarsi di ribellioni, e al relativo rischio di rinnovata destabilizzazione dell’area balcanica. Analogamente nel caso dell’Ucraina, se i diritti della composita popolazione del Donbass fossero stati riconosciuti da entrambi i Paesi interessati come previsto nelle intese di Minsk, la Russia, fermo restando la più ampia argomentazione contenuta nella sua “dottrina” anti-Nato, sarebbe stata priva di pretesti fattuali per l’aggressione armata e la successiva integrazione dei territori mediante consultazioni referendarie fasulle. Ci troviamo ora con uno scenario fortemente compromesso e denso di incognite. La convivenza civile tra popolazioni con diversa matrice storico-culturale non è impossibile, ma occorre negoziarla, occorre la volontà politica di tutti i protagonisti, interni, regionali, internazionali. E idealmente dovrebbe essere garantita in sede multilaterale, mediante una risoluzione del CdS o di Organizzazioni Internazionali di riferimento. È precisamente la volontà politica di leader illuminati come De Gasperi e Gruber nel 1946 - recepita nel Trattato di Pace italiano del 1947 - ad aver assicurato il riconoscimento della specificità linguistico-culturale all’Alto Adige/Sud Tirol e la prospettiva di un futuro di pace e prosperità che oggi vediamo realizzata nella regione. Uno scenario citato nei consessi internazionali come modello esemplare di gestione dei diritti delle minoranze. L’adesione dell’Austria all’Unione Europea nel 1995, prontamente favorita dall’Italia, ha poi definitivamente chiuso il capitolo, consentendo il libero scorrimento di beni e persone attraverso il confine entro lo spazio comune europeo.
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