La politica asiatica di Washington
Analisi di Antonio Donno
Tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo, Antony Blinken, Segretario di Stato americano, ha viaggiato in vari Stati dell’Asia Centrale, già appartenenti all’Unione Sovietica, allo scopo di assicurarli circa il sostegno degli Stati Uniti contro le mire imperialistiche di Putin. La visita di Blinken era il primo passo di una nuova strategia di Washington in Asia, dove Russia e Cina intendono espandere la loro influenza. Oggi il primo ministro indiano, Narendra Modi, è a Washington per incontrare il presidente Biden e per discutere del comune interesse a difendere l’Indo-Pacifico dalle mire di Pechino.
In realtà, il problema indo-cinese è ben più vasto e da molto tempo. I contrasti sanguinosi sui confini nord-orientali dell’India, contesi tra i due paesi, vanno avanti da decenni e non vedono alcuna soluzione di continuità. Recentemente si sono acuiti perché Pechino intende avvicinarsi sempre più ai confini settentrionali del Golfo del Bengala e da lì incidere progressivamente sugli equilibri della regione dell’Indo-Pacifico, dove gli Stati Uniti stanno sviluppando una politica di contenimento dell’espansione cinese lungo il Mar Cinese Meridionale che si insinua tra i paesi del Sud-Est asiatico (Thailandia, Cambogia, Vietnam) a nord e, a sud, la Malaysia e l’Indonesia. Questa politica coinvolge anche l’Australia in un gigantesco quadro politico tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico.
Il riavvicinamento tra India e Stati Uniti, dopo molti anni di distacco politico-diplomatico, è di un’importanza cruciale. La descritta politica cinese, che comprende un enorme spazio marittimo tra gli stati insulari del Pacifico e quelli dell’Oceano Indiano, sta a dimostrare la vastità degli interessi imperialistici di Pechino, che procedono senza interruzione e, soprattutto, senza destare incidenti che potrebbero danneggiare il proseguo della sua politica di scala così estesa in due oceani. L’India di Modi è, dunque, in una situazione di profonda preoccupazione. Da qui il viaggio di Modi negli Stati Uniti: i due paesi, oggi, condividono, con ogni evidenza, la necessità di mettere in atto una politica di contenimento della Cina nell’Indo-Pacifico. Insomma, il contrasto tra Pechino e New Delhy non riguarda soltanto i confini terrestri del Tibet – contenzioso di incessante conflitto tra i due paesi – ma un’immensa regione tra il Golfo del Bengala e il Mar Cinese Meridionale che è vitale per gli interessi strategici ed economici dell’India e, nello stesso tempo, di Washington, la cui politica nello scacchiere internazionale considera la regione dell’Indo-Pacifico di assoluta preminenza nel frenare e ridimensionare i progetti mondiali di Pechino.
Dunque, se diamo uno sguardo al quadro generale dei progetti asiatici di Washington, non possiamo non valutare adeguatamente le direttrici di questo impegno. Nell’Asia centrale Kazakhstan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Turkmenistan, già parte dell’ex Urss, sono stati sede di incontri importanti di Blinken con i dirigenti di quei paesi, incontri che avrebbero potuto non riservare particolare importanza, se oggi l’incontro di Modi con Biden non significasse che la parte meridionale dell’Asia, l’India, si rivolge agli Stati Uniti per un comune contrasto ai programmi espansionistici della Cina nell’Indo-Pacifico e della Russia in Centro Asia. La politica americana in Asia, dopo anni di silenzio, si va definendo in questi termini.
È il Medio Oriente il punto debole dei progetti asiatici degli Stati Uniti. O meglio, i recenti informali incontri tra esponenti di secondo piano di Stati Uniti e Iran stanno a indicare che Washington intende riaprire il dialogo con Teheran, ma nulla è certo. Israele guarda con grande sospetto a tale prospettiva, memore degli inganni che il regime degli ayatollah ha messo in atto dal 2015 nei confronti dell’Occidente per procedere nel suo programma nucleare, volto alla cancellazione dello Stato ebraico dalla carta geografica internazionale. Nel contempo, la presenza iraniana in seno ai territori governati dall’Autorità Palestinese si fa sempre più intensa, come dimostrano inequivocabilmente gli attacchi terroristici palestinesi nei confronti degli insediamenti israeliani, eventi che non sono al centro dell’attenzione di Washington. Per ora.
Antonio Donno