Israele amore e odio, un capolavoro
Analisi di Daniele Scalise
Sia chiaro che questa non è una recensione. Non è e non vuole essere una recensione perché non ho né l'esperienza né l'istinto né l'ambizione di ogni recensore perbene. Questa è la testimonianza di lettore che vuole esprimere ammirazione per un racconto e per la sua autrice. Il testo ha un titolo shakespeariano - 'Vieni tu giorno nella notte' - che ho un po' faticato a memorizzare ma che non dimenticherò più fino a che campo. L'autrice è Cinzia Leone che conosco solo a distanza ma il cui nome mi è noto da tempo e ora, se possibile, lo resterà ancora di più. Ho letto questo appassionante romanzo edito da Mondadori e uscito pochi mesi fa su spinta di un amico fraterno, un tale Angelo Pezzana che mi ha aperto mille porte, la principale delle quali mi ha portato in Israele. Dopo le prime venti pagine ho dovuto fermarmi perché avevo gli occhi appannati dalle lacrime. Ho riposto il volume ho preso a singhiozzare come un vitello sgozzato. Sia però chiaro che il testo di cui sto parlando non ha nulla di scioccamente e volgarmente commovente. Muoio dalla voglia di raccontarvi la trama per filo e per segno, quasi per restare in compagnia dei personaggi di quest'opera travolgente, tenere la mano a Micòl, costumista teatrale e donna graziosamente nevrotica, e a sua madre Stella, sionista senza ghirigori e con un passato di tempeste sepolte.
Cinzia Leone
Vorrei fare quattro passi con due giovani che immagino bellissimi, il segreto Arièl, soldato israeliano di origine italiana, e il suo amante Tariq, palestinese di Jenin, fuggito dall'inferno della comunità in cui è nato e cresciuto e che forse è il personaggio che più rimane impresso. Eppure non vorrei lasciare nemmeno quel Danièl che è il padre di Arièl, pubblicitario di successo e padre fallito, Zahira, madre di Tariq in ostaggio di un marito infame che inshallah crepa presto (scusate lo spoiling ma questo non potevo tenermelo dentro). E via via non vorrei mai mollare i volontari di Zaka che ricostruiscono con compassione i resti dei morti per poterli identificare e permetterne una degna sepoltura. E tutti gli altri, mirabilmente descritti senza inutili indugi sentimentali ma con scrittura netta e spesso atroce. Cinzia Leone riesce a combinare con armonia elementi narrativi molto distanti: la descrizione non apologetica ma pur sempre amorosa di Israele, relazioni matrimoniali devastate, maternità naufragate ma non annegate, identità cercate e non sempre trovate, conflitti politici irrisolti e brucianti e tanto altro ancora. La scrittura è consistente, tutt'altro che pindarica e in alcuni tratti persino chirurgica senza anestesie. L'autrice affonda la lama e non guarda in faccia a nessuno, eppure è continuamente sostenuta da una pietas che non può lasciare indifferenti, uno sguardo che non si vuole neutro ma che non cade nella trappola propagandistica ferale per qualsiasi opera letteraria. Niente inni, né lodi, né encomi, né lenimenti. La forza della scrittura si autogiustifica nella convinzione della storia raccontata. Una storia lunga e lenta che ti afferra la gola con le due mani, la stringe e rischia di soffocarti. Quando incontri la grazia della scrittura capisci quanto sia necessaria, indispensabile. Aggiungo una considerazione per me preziosa: questo romanzo fa più bene a Israele di mille saggi o discorsi o dibattiti perché ne esce il ritratto reale di un paese animato da contraddizioni e contrasti ma potente di vita e speranze per tutti gli esseri umani.
Daniele Scalise