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La Repubblica Rassegna Stampa
18.06.2023 La 'Nuova Via della Seta' cinese, gli Usa e l'Italia
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 18 giugno 2023
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La lezione del caso Pirelli»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 18/06/2023, a pag. 1, con il titolo “La lezione del caso Pirelli” l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

Sinochem Holdings debuts as a giant corporation - Chinadaily.com.cn

La decisione del governo italiano di ricorrere al “Golden Power” per proteggere Pirelli dall’assalto del gigante cinese Sinochem è un momento di fine e di inizio: si conclude una battaglia dura che ha visto Pechino fallire il pieno controllo di una delle maggiori aziende italiane ed inizia la fase che può portare Palazzo Chigi a sciogliere il nodo dell’accordo sulla “Nuova Via della Seta” siglato da Conte. La battaglia su Pirelli apre una finestra importante per conoscere meglio le modalità di azione delle aziende cinesi all’estero. È Pirelli che nel 2015, per liberarsi dall’intesa con i russi di Rosneft dopo l’annessione della Crimea da parte di Vladimir Putin, cerca e trova l’intesa con la “China National Tire & Rubber Corporation” di ChemChina e ciò porta l’azienda a crescere e rafforzarsi fino a quando nel 2021 ChemChina non passa sotto il controllo di Sinochem Holding Corporation, ovvero uno dei grande giganti dell’economia di Pechino, di proprietà statale, impegnato nella realizzazione di prodotti chimici e fertilizzanti, nonché nella produzione di greggio per usi civili e militari, soggetto alla supervisione della “Sasac”, un organo amministrativo del governo centrale cinese. La conseguenza è che Pirelli si trova davanti ad un radicale cambio di interlocutori: i protagonisti del primo accordo svaniscono e vengono sostituiti da altri personaggi che, senza alcuna remora, fanno capire di rispondere direttamente al governo centrale, al Partito comunista cinese, con l’intenzione di far leva sul 37 per cento delle azioni per arrivare al controllo totale di Pirelli. È questo il momento nel quale Sinochem diventa più aggressiva nei confronti del partner italiano, fino al punto da inviare nel nostro Paese suoi rappresentanti al fine di delegittimare la leadership di Pirelli. Il tentativo, evidente e dichiarato, è di imporsi nell’azienda e soprattutto di assumere il controllo totale del suo know-how di alta tecnologia nella creazione di prodotti di gomma e pneumatici che hanno caratteristiche, per lo sviluppo nel cyber e dell’intelligenza artificiale, fra le più competitive a livello globale. Da qui l’urgenza per il governo di ricorrere al “Golden Power” ma scartando l’opzione di congelare le azioni cinesi e decretando piuttosto una serie di limitazioni che impongono ai cinesi di continuare a gestire l’azienda assieme ai soci italiani, sbarrando comunque la strada ad un controllo totale che avrebbe visto Sinochem in breve tempo poter nominare anche il nuovo ceo. La vicenda è esemplare perché ripropone in Italia le modalità di intervento economico cinese che già più Paesi hanno sperimentato — dal Montenegro allo Sri Lanka fino all’Etiopia — dove il partner di Pechino una volta entrato in un’azienda locale punta, in tempi differenti, ad assumerne il controllo totale per sottometterlo ad una gestione le cui priorità vengono stabilite dal partito comunista cinese, e sono dunque espressione degli interessi nazionali cinesi. Ciò porta a dedurre che per le aziende che rispondono alle autorità di Pechino il fine delle partnership all’estero non è solo il successo del business ma soprattutto raggiungerne il totale controllo. Da qui il nodo dell’adesione italiana alla “Belt and Road Initiative”, la “Nuova Via della Seta” lanciata dal presidente Xi Jinping per creare una rete di accordi bilaterali con dozzine di Stati per realizzare infrastrutture terrestri e marine capaci di collegare la Cina all’Europa Occidentale attraversando Eurasia, Africa e Mediterraneo. In questa cornice, l’accordo firmato dal premier Conte nel 2019 con Xi assegna all’Italia un ruolo strategico nella realizzazione del progetto globale di Pechino considerato dagli Stati Uniti il tentativo di creare una “zona di influenza cinese” capace di estendersi anche a Paesi Ue e Nato, per indebolire la coesione fra democrazie occidentali. L’Italia è l’unico Paese del G7 ad aver sottoscritto un simile accordo e poiché il prossimo anno avremo la presidenza di turno proprio del Gruppo che riunisce le maggiori democrazie industrializzate, Washington ci chiede di non rinnovare l’adesione. È una posizione condivisa da altri partner Ue e Nato, alla quale finora il governo Meloni ha risposto che l’applicazione dell’intesa del 2019 è stata assai limitata, ad investimenti mai di valore strategico. Ora la vicenda Pirelli evidenzia, al di là di ogni possibile dubbio, l’approccio che distingue il governo di Pechino agli investimenti strategici che possiede nel nostro Paese. E sorge il dubbio che la scelta di adoperare il “Golden Power” senza congelare le azioni di Sinochem celi la convinzione di poter arrivare ad un compromesso anche sull’adesione alla “Nuova Via della Seta” al fine di proteggere importanti accordi ed investimenti che numerose aziende italiane hanno siglato con partner cinesi. Resta il fatto che, secondo fonti diplomatiche americane, “difficilmente l’amministrazione Biden accetterà niente di meno che l’uscita dell’Italia dalla Via della Seta” per il semplice fatto che c’è una forte convergenza bipartisan fra Casa Bianca democratica ed opposizione repubblicana sulla “sfida strategica” con Pechino innescata dalla dichiarata volontà cinese di “superare” gli Stati Uniti nel 2030 grazie ad una “Grande strategia di lungo termine per sostituire l’ordine americano” come illustra un dettagliato studio della Brookings Institution di Washington. Ecco perché la questione della “Nuova Via della Seta” è uno dei nodi da sciogliere nei rapporti con Washington in vista della ancora non annunciata visita della premier Meloni alla Casa Bianca. Insomma, c’è un filo che lega il ricorso al “Golden Power” su Pirelli ai nostri legami con Washington: Roma deve trovare un modus vivendi con Pechino che tuteli gli interessi delle nostre aziende e non pregiudichi l’alleanza con gli Stati Uniti.

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