L’ondivaga relazione tra gli USA e Israele / parte 1
Analisi di David Elber
Fin dalla nascita dello Stato del popolo ebraico, nel 1948, la politica americana nei confronti di Israele si è manifestata, da una parte con il tradizionale appoggio e la reale amicizia dei presidenti americani (con qualche eccezione) e dall’altra con una tradizionale inimicizia e talvolta una vera e propria ostilità da parte del Dipartimento di Stato (con qualche eccezione). A questo bisogna aggiungere che il Congresso, che è il vero rappresentante del popolo americano, è sempre stato vicino e sensibile alle sorti di Israele così come lo stesso popolo americano che, dalla fondazione dello Stato ebraico ad oggi, si è sempre espresso favorevolmente nei suoi confronti come si evince dai numerosissimi sondaggi condotti nel corso degli anni da parte di diversi mass media e centri di ricerca. Oggi l’unico cambiamento in questo supporto è rappresentato dalle élite più “progressiste” ormai completamente preda di deliri terzomondisti e animate da un antisionismo conseguente.
La disarticolata politica americana verso Israele, a dire il vero, è iniziata ancora prima della sua nascita. Essa si era, infatti, già manifestata in occasione della Dichiarazione Balfour e dell’approvazione del Mandato per la Palestina nel 1922, creato per attuare la politica del Jewish National Home ovvero l’autodeterminazione del popolo ebraico nella terra dei padri. Tale politica è ben rappresentata dalla favorevole posizione assunta dal presidente Wilson e dalla mal celata ostilità del Segretario di Stato Lansing. Tanto è vero che il Dipartimento di Stato americano accettò con estrema riluttanza la Risoluzione del Congresso del 21 settembre 1922 con la quale si riconosceva la Dichiarazione Balfour ignorandola però nei fatti. Così come avvenne per la Convenzione angolo-americana del 1924, con la quale si riconosceva ufficialmente il Mandato per la Palestina come lo strumento per la nascita del Focolare nazionale ebraico accolta con grande ostilità dal nuovo Segretario di Stato, Charles Hughes, e dal dipartimento di Stato che di fatto non si “sentì” impegnato al rispetto delle disposizioni mandatarie relative al JNH.
Questa ambivalente politica si rimanifestò, in seguito, con l’approssimarsi della nascita dello Stato di Israele: il Dipartimento di Stato, infatti, decise l’attuazione di un embargo sulle armi (il 5 dicembre 1947) nei confronti di tutti i paesi del Medio Oriente. Questa decisione penalizzava molto di più il nascente Stato ebraico in quanto la maggior parte degli Stati arabi erano già stati equipaggiati e addestrati dai britannici. L’embargo americano sugli armamenti fu mantenuto di fatto fino alla fine degli anni Sessanta.
Il momento più drammatico di questa ambivalente politica americana lo si raggiunse nella primavera del 1948, alla vigilia della dichiarazione di Indipendenza di Israele, quando il Dipartimento di Stato americano guidato da George Marshall si oppose strenuamente alla nascita dello Stato ebraico scontrandosi palesemente con il presidente Truman. Alla fine la volontà di Truman prevalse e gli USA furono il primo Stato a riconoscere de facto Israele il 14 maggio 1948. La successiva amministrazione americana (Dwight Eisenhower Presidente e John Foster Dulles Segretario di Stato) fu particolarmente poco amichevole con Israele sia durante la crisi di Suez del 1956 sia per tutti gli otto anni di presidenza, durante i quali mantenne l’embargo alle armi mentre iniziò ad armare molti paesi arabi (e l’Iran) in funzione anti sovietica dopo che gli USA sostituirono la Gran Bretagna come Potenza egemone del Medio Oriente. L’amministrazione di John Kennedy fu poco coinvolta dalle vicende mediorientali, tuttavia, rispetto all’amministrazione Eisenhower, fu molto più vicina e attenta ai bisogni di Israele.
Un reale cambiamento nella politica americana lo si ebbe durante l’amministrazione del Presidente Lyndon Johnson. Questa amministrazione fu una dei rari casi dove il Presidente e il Segretario di Stato, Dean Rusk, si trovarono allineati a difendere Israele, prima in sede diplomatica con l’appoggio alla Risoluzione 242 elaborata dal rappresentate britannico Lord Hugh Carandon, poi con la prima e moderna fornitura di armamenti che di fatto terminava l’embargo deciso nel 1947. Questa amicizia reale e sentita fu “macchiata” dall’introduzione in sede diplomatica del concetto di “pace in cambio di terra”, principio mai adottato in nessun altro conflitto al mondo (né prima né dopo la Guerra dei 6 giorni), nei confronti di uno Stato aggredito ma vincente sul campo di battaglia, principio imposto unicamente a Israele. Il riverbero negativo di questo principio arbitrario e selettivo è ancora ben vivo oggi.
La politica americana tornò ad essere ondivaga con l’amministrazione di Richard Nixon, soprattutto quando Segretario di Stato divenne Henry Kissinger. Da un lato, il vitale appoggio militare durante la durissima guerra di Yom Kippur del 1973 (tutti i paesi europei in ossequio al diktat arabo relativo al petrolio, si erano rifiutati non solo di aiutare Israele, paese teoricamente “amico”, ma rifiutarono persino agli americani l’utilizzo delle basi NATO per far giungere gli aiuti militari così gli americani dovettero fare un gigantesco ponte aereo dagli USA, con scalo alle isole Azzorre, fino in Israele) e la successiva battaglia diplomatica in sede ONU contro l’URSS, dall’altro la continua pressione politico-diplomatica nei riguardi del governo israeliano nel cedere sempre di più alle richieste arabe per arrivare ad una soluzione del conflitto che gli arabi hanno voluto, portato avanti con guerre e terrorismo, come se Israele fosse stato il “colpevole” delle guerre scatenate nei suoi confronti. Questa politica proseguì con l’amministrazione Ford che mantenne Kissinger nel ruolo di Segretario di Stato.
Il nadir nelle relazioni negative tra Stati Uniti e Israele – fino a quel momento – fu raggiunto con l’amministrazione di Jimmy Carter coadiuvato, al dipartimento di Stato, prima da Cyrus Vance poi da Warren Christopher. Sarebbe troppo lunga da elencare la sequenza di slealtà e attacchi politico-diplomatici portati avanti da questa amministrazione. Qui è sufficiente ricordare la stipula del trattato di pace tra Israele e l’Egitto a Camp David nel 1978 dal quale l’Egitto apparve il vero vincitore delle guerre in base al menzionato principio di pace in cambio di terra e non come il molteplice aggressore.
Da questo momento in avanti il rapporto di vicinanza dei Democratici nei confronti di Israele passò a vantaggio dei Repubblicani.
Le relazioni tra USA e Israele si “normalizzarono” nuovamente con le due amministrazioni di Ronald Reagan (1981-1989), che palesarono il contrasto tra la grande amicizia del presidente verso Israele e l’ostilità del Dipartimento di Stato ben rappresentato da George Shultz, che fu il primo alto rappresentante governativo americano a riconoscere l’OLP, all’epoca ancora una riconosciuta organizzazione terroristica, come legittima rappresentante del popolo palestinese.
Sulla stessa linea si è mossa l’amministrazione di George Bush senior (anche se lui personalmente non fu legato a Israele come il suo predecessore) con il proprio segretario di Stato James Baker, da molti considerata come un proseguimento delle amministrazioni Reagan. E’ da sottolineare che sotto il mandato del presidente Bush il Medio Oriente riacquisì una posizione centrale nella politica internazionale in generale e in modo particolare per quella americana a causa dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein e la conseguente guerra tra la coalizione internazionale e le truppe irachene. Le conseguenze politiche di questi avvenimenti si riverberarono anche su Israele.
Il nuovo ordine immaginato da Bush prevedeva la fine di tutti i conflitti e quindi anche quello tra arabi e israeliani. Il Dipartimento di Stato si mosse di conseguenza e le pressioni su Israele ricominciarono affinché riconoscesse l’organizzazione terroristica OLP come partner per la pace, poi, però Bush perse le elezioni e tutto fu rimandato alla successiva amministrazione: quella Clinton.
Nella seconda parte ripartiremo da questa amministrazione.