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La Repubblica Rassegna Stampa
15.06.2023 Odissea senza ritorno
Un racconto di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 15 giugno 2023
Pagina: 1
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Sogno un’Odissea senza il ritorno nella “solita” Itaca»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 15/06/2023, a pag. 1, l'analisi dal titolo "Sogno un’Odissea senza il ritorno nella “solita” Itaca" di Bernard-Henri Lévy.

Bernard-Henri Lévy - Concordia
Bernard-Henri Lévy

Parafrasi Odisseo e Calipso, libro V 116-158 dell'Odissea
Ulisse e Calipso

Sono contro il ritorno. Può sembrare strano, dire così. E non suona bene. Ma così è. Sono contro il ritorno alla natura. Contro il ritorno alle fonti, di solito avvelenate. Sono contro il ritorno all’origine, matrice dei totalitarismi. Sono, per le stesse ragioni, contro il ritorno alla terra, alla buona comunità, al paradiso perduto. Sono contro il ritorno all’ordine; contro il ritorno alla morale e alla normalità, contro il ritorno a casa e, quindi, contro il ritorno a Itaca (mi dicevo, negli anni da studente, che l’ Odissea sarebbe stata bella se Ulisse avesse vissuto fino in fondo i suoi amori con Circe e Calypso! Quante prove, cadaveri smembrati, bambini vittime di matricidio, Giasone avrebbe risparmiato all’umanità se, invece di coltivare il sogno di ritornare a vedere, dice Bellay, «del suo piccolo paese fumare il camino», fosse saggiamente rimasto in Colchide). Sono supercontrario, a meno che non sia il film di Man Ray, al ritorno alla ragione. Sono arcicontrario, perché ha rischiato di fare la pelle all’Illuminismo e l’ha fatta all’immenso André Chénier, al «ritorno all’Antico » della fine del Diciottesimo secolo. Temo, tutti dovrebbero temere, il ritorno del represso, ritorni di bastone, e altri ritorni al mittente. Non mi piace quando gli innamorati separati ritornano insieme: si credono di essere Liz Taylor e Richard Burton, Frida Kahlo e Diego Rivera. Un battito di ciglia dopo, atterriamo su Goldoni eBaywatch . Non mi ha mai tormentato la voglia di fare ritorno ai luoghi e alle immagini della mia infanzia: per fare cosa? Ritrovare chi? Non ho ricordi d’infanzia. Mi annoia a morte l’idea stessa di fare ritorno a sé: il sé non è odioso? Non è ciò che si diventa? L’altro, gli altri, sono, per definizione, molto più interessanti di me. Mi scocciano i pellegrinaggi, preferisco la conquista di territori sconosciuti. Sono un amante di Sion, è vero; però io salgo, e salirò, a Gerusalemme – non ci ritornerò, e Israele, per me, è un’idea tanto quanto è una terra, una rocca tanto quanto un giardino nel deserto. Sono ritornato in Bangladesh, è altrettanto vero, ma è là che tutto è iniziato e, se sono contro le origini, non sono contro gli inizi. Sono ritornato a Sarajevo, è vero anche questo, ma era come l’Ucraina oggi: uno stesso e unico evento, a episodi, interminabile, e, quanto al resto… ho fatto dei reportage in Angola e in Ruanda, nell’Etiopia di Rimbaud e nel Pakistan di Daniel Pearl; ho attraversato la Colombia e il Burundi, lo Sri Lanka e le Montagne di Nuba; ho scorrazzato in Russia, in Cina, in Giappone, arrancato per il Darfour in fiamme, e la Somalia in cenere, ma, quando il reportage è fatto, è fatto; io sono incapace di rifarlo; è come una miniera di parole che avrò esaurito in me; o come un momento della mia vita,prezioso, che rivisito in pensieri, al quale rimango assolutamente fedele, ma dove non ritorno… quando, del resto, una volta… era a Tarhuna, zona di Bengasi, fuori dall’ossario dell’Amilcare del posto (turco? egiziano?)… ebbene, mal me ne incolse perché, insieme ai miei compagni di scorribanda, sono caduto in un’imboscata che ha rischiato di costarci la vita… Mi piace, quando viaggio, sapere quando parto ma non quando ritorno. Mi piacerebbe, se fossi molto insensato, prendere soltanto biglietti senza ritorno. Sono, nella vita di ogni giorno, incapace di ritornare sui miei passi, se sono in auto, per esempio, e ho sbagliato strada, sono contrario a fare inversione, tornare indietro, ritornare all’incrocio incriminato, e così via – io proseguo, vado avanti, vado ancora, finirò di certo per imbattermi in una biforcazione che mi permetterà, senza ritorno, di rimettermi sulla strada giusta. Non mi piacciono i ritorni in politica e aderisco alla massima fitzgeraldiana: «Non c’è una seconda possibilità per gli eroi americani »; perché non ci siamo ispirati a questo pensiero, nel Paese di Pasolini e Alcide De Gasperi, quando la Democrazia cristiana riciclava all’infinito i suoi immortali? Epossano gli Stati Uniti ricordarselo, prima di sognare di infliggersi una seconda dose di veleno Trump. L’idea del ritorno, in filosofia, puzza terribilmente del suo Heidegger, ed è anche per questo che sono contro. Se non è Heidegger, è Nietzsche, è meglio, ovviamente, è più civile! Ma attenzione! Avete così tanta voglia di questo, di un eterno ritorno? Vi siete mai trovati, «6000 piedi oltre l’Umano e il tempo», a sentire che ogni evento si produce come se dovesse riprodursi all’infinito? E qual è la differenza, onesta mente, con l’eterno ritorno del Male che, nel quinto canto della Divina Commedia, è come un vento terribile «che mugghia come fa mar per tempesta»? Quando ho letto un libro, l’ho letto, è raro che io lo rilegga. Non rileggo nemmeno i miei libri e, qualche volta, li dimentico (ragion per cui, rinunciando a montare la guardia, tollero che vi si entri come in un mulino e mi faccio saccheggiare allegramente). Una volta, Michel Houellebecq venne a propormi di riprendere i miei Gli ultimi giorni di Charles Baudelaire, di portarli sullo schermo e di affidare a lui il ruolo del poeta afasico e morente: mi piaceva quell’idea di Houellebecq in Baudelaire; e che diventasse un film quel libro in cui, un tempo, avevo messo tanto della mia anima, non avevo, chiaramente, niente in contrario, ma l’idea, come la proponeva il mio amico, di realizzarlo io stesso e di ritornare sulle mie proprie tracce, mi faceva, prima di tutto, morire di noia; ragion per cui il progetto, almeno per adesso, non si è concretizzato. Sono contro il ritorno alla fede e preferisco le epifanie, le estasi, gli slanci mistici. Il pensiero del ritorno presso gli ebrei? Non sono sicuro di essere così a favore, no, poiché ben più preferibile mi sembra lo studio, il corpo a corpo col verso e, come dicono i Saggi, la guerra della Torah. No, la grande impresa, per un ebreo, non è fare ritorno ma avanzare – anche Benny Lévy lo sapeva, sono le ultime parole che mi ha detto, durante la nostra ultima conversazione, qualche ora prima di morire. Questo è il mio credo.

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