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La Repubblica Rassegna Stampa
13.06.2023 Berlusconi, il populista che parlava di libertà
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 13 giugno 2023
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Laboratorio di populismo»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/06/2023, a pag. 1, con il titolo “Laboratorio di populismo” l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

Berlusconi in visita in Israele
Silvio Berlusconi

Con la morte di Silvio Berlusconi scompare il leader politico che ha avuto un ruolo fondamentale nella genesi del populismo che oggi tiene banco nelle democrazie occidentali e, al tempo stesso, si apre una fase di incertezza sulla sorte di Mediaset e di Forza Italia destinata ad avere conseguenze nel nostro Paese, creando più di qualche serio grattacapo all’attuale esecutivo. Berlusconi può essere considerato il primo vero leader populista in Occidente perché quando arriva al governo nel 1994, sulla scia degli scandali di Tangentopoli, indebolisce tutti i corpi intermedi che distinguono le democrazie moderne: spazza via il partito tradizionale imponendo il format di una forza politica specchio fedele del proprio leader; riduce il ruolo del Parlamento e duella spesso con il Quirinale esaltando l’importanza crescente del solo potere esecutivo; ingaggia uno scontro frontale con il sistema della giustizia spingendosi fino a considerarlo un avversario politico; inaugura l’uso dell’informazione miscelata con l’intrattenimento dove la qualità delle notizie perde importanza; accentra ogni comunicazione, politica e istituzionale, sulla sua persona; appena può, ricorre ad ogni mezzo per diventare protagonista del costume nazionale trasformando gaffe e offese — a cominciare da quelle contro le donne — in esaltazione del legame ancestrale con la cultura popolare. Se Tangentopoli segna il tramonto del sistema dei partiti che aveva sostenuto la democrazia repubblicana sin dal 1946, la lunga stagione di Berlusconi coincide con l’affermazione di un’idea di leadership pigliatutto che si impone come epicentro assoluto della vita pubblica a dispetto di limiti e regole che garantiscono il delicato equilibrio fra le differenti istituzioni. Quando nel 2011 lascia la guida del suo quarto governo nel bel mezzo di una crisi finanziaria globale, il metodo di guidare le istituzioni per indebolirle dal di dentro diventa il precedente sul quale, cinque anni dopo, Donald Trump conquista la Casa Bianca negli Stati Uniti attingendo a piene mani dal manuale di Berlusconi. Sostenuto dalla scelta di un altro grande imprenditore anglosassone Rupert Murdoch, di usare la propria Fox Tv proprio come Silvio aveva fatto con Mediaset: tanta cronaca, intrattenimento come informazione e una dilagante aggressività nei confronti degli avversari politici. In Europa sono alcuni leader molto diversi fra loro, dal britannico Nigel Farage ideatore della Brexit a Beppe Grillo creatore dei Cinque Stelle in Italia, a impossessarsi della formula del leader “del popolo” che si batte contro le istituzioni corrotte edecadenti. Facendo germogliare una miriade di imitazioni più o meno riuscite, grazie alle diseguaglianze che flagellano il ceto medio, spingendolo verso la protesta. Trump e Grillo rappresentano le conseguenze di un modello populista che Berlusconi inaugurò e nei libri di Storia del dopo-Guerra Fredda non è difficile trovare una moltitudine di personaggi politici assai distanti ma al tempo stesso convergenti nel voler imporre con ogni mezzo la supremazia del capo del potere esecutivo, e il suo legame viscerale con il popolo, su ogni altro tassello delle istituzioni democratiche. Forse non a caso quando ieri il presidente russo Vladimir Putin ha reso omaggio a Berlusconi ha sottolineato con enfasi il suo merito di essere stato un leader di rottura in Occidente, capace di indebolire come nessun altro, dal di dentro, le democrazie liberali che il Cremlino considera il più temibile avversario globale. E le ripetute, roboanti, dichiarazioni anti-ucraine fatte da Berlusconi nel suo ultimo anno di vita gettano un’ombra sulle numerose e vistose posizioni pro-occidentali da lui sostenute con forza sin dal debutto a Palazzo Chigi. La sua scomparsa in un Occidente segnato dal duello fra democrazia e populismo (di ogni matrice e colore) conferma che ancora una volta nella Storia l’Italia politica ha generato una scossa con effetti globali. Ma ora è proprio questa Italia guidata dal governo più a destra mai avuto a dover fare i conti con le conseguenze immediate della morte di un leader circondato da realtà economiche e politiche a sua esclusiva immagine e somiglianza. I mercati finanziari credono nella possibile vendita di Mediaset e ciò significa che il secondo più grande polo tv nazionale potrebbe passare di mano con conseguenze non indifferenti in un mercato così insulare come il nostro. E poi c’è l’incertezza sulla sorte di Forza Italia: può confluire con Fratelli d’Italia dando vita a un partito unico Meloni-Tajani come anche andare nella direzione opposta, seguendo quei leader centristi che confessano il disagio per l’abbraccio con l’estrema destra erede del Msi. Oppure può frantumarsi in mille rivoli trasformando i propri deputati e senatori in prede ambite dei più spericolati giochi di potere in Parlamento. Tutto questo per dire che Silvio Berlusconi, dopo aver generato instabilità, lacerazioni e crisi della nostra democrazia, lascia dietro di sé una coda altrettanto imprevedibile di conseguenze. Con la quale dovrà essere la premier Giorgia Meloni a fare i conti.

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