Ucraina 1: le conseguenze del disastro della diga Analisi di Brunella Giovara
Testata: La Repubblica Data: 11 giugno 2023 Pagina: 16 Autore: Brunella Giovara Titolo: «Case, corpi e mine. Sul mare di Odessa dove galleggiano i resti di Kherson»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/06/2023, a pag.16, con il titolo “Case, corpi e mine. Sul mare di Odessa dove galleggiano i resti di Kherson”, l'analisi di Brunella Giovara.
ODESSA — L’altro giorno è arrivato un cane di Kherson. Un povero meticcio, che ha navigato per tre giorni dalla sua città fin qui sulla porta di ingresso di una casa, scardinata e diventata zattera. Poi è arrivata una casa, con ancora il tetto, un guscio di legno evidentemente ben costruito, che veleggiava verso il porto di Odessa, 130 chilometri a Sud dal punto di partenza. Sulla spiaggia Suvorovski, uomini attoniti guardano arrivare i resti della città che era Kherson, e di altri paesi evillaggi della regione sommersa dalla piena del Dnepr, cominciata martedì notte con la diga di Nova Kakhovka che saltava in aria, e non ancora finita. Ci vorrà ancora una settimana, prima che le acque si ritirino da quella palude stigia. E il mar Nero è unto, di gasolio e lubrificanti, larghe macchie gialle di detersivi galleggiano compatte, è il disastro ecologico che si avvera, poi c’è quello umanitario. Migliaia di sfollati, per lo più dalla parte ucraina, e migliaia dalla zona occupata dai russi, di cui non si sa granché. E i cadaveri che sfociano in mare, non c’è più foce veramente, ma arrivano questi corpi gonfi che gli ucraini agganciano con le pertiche e portano sulla terra, prima che vadano chissà dove. La corrente porta ogni cosa verso Odessa, poi c’è un gran vento che sposta a capriccio tutto quanto galleggia. Le mine, anche. Natalia Gomeniuk, capitano di corvetta e press officer dell’esercito, dice che «il Comune deve chiudere le spiagge, e subito, per almeno 200 metri di profondità. Noi non abbiamo tempo per queste cose », c’è la controffensiva in corso, l’avanzata verso Melitopol e verso Bakhmut. «La piena ha trascinato giù le mine posizionate a migliaia dai russi. Andranno a esplodere contro qualunque ostacolo incontrino. Ad esempio le mine marine russe, che ogni tanto si sganciano dal fondale e arrivano qui». I camion scaricano sulla sabbia tonnellate di filo spinato, gli operai srotolano e posano proprio dove comincia l’acqua, l’hanno deciso i proprietari degli stabilimenti e dei ristoranti sulla riva: si può prendere il sole, ma niente bagno, l’acqua è esplosiva e anche avvelenata, non vogliamo altri morti, e proprio qui, tra i nostri ombrelloni. La gente è rassegnata, la scorsa stagione è già successo ad alcuni bagnanti, di incontrare una di quelle grandi sfere di acciaio che affiorano e subito scompaiono, poi esplodono. I soccorritori faticano a recuperare i resti degli audaci bagnanti, sono mine fatte per far saltare in aria una nave. Ma le già bianche spiagge di Odessa sono quasi deserte, il mare oleoso non attira, passano blocchi di vegetazione con su i ciuffi di canne, da uno è saltato fuori un capriolo. Anche lui viaggiante da 3 giorni, forse arrivava dalla riserva di Dzharylhach. Da quelle parti i russi hanno cercato di evacuare i soldati sorpresi dalla piena, gli elicotteri da combattimento sono scesi e ripartiti stracarichi, ma tanti erano già annegati, tra i cadaveri recuperati molti hanno ancora il Kalashnikov a tracolla, a faccia in giù, ma la divisa è quella. Ne troveranno altri, il mare accoglie tutto e risputa sulla sabbia. Un frigorifero marca Beko, dentro ci sono ancora i cassetti di plastica. Una bambola, un birillo rosso, bottiglie piene di vino, barattoli di sottaceti, incredibilmente interi. Una felpa rosa. Un piatto con il bordo dorato, che spunta dal groviglio di rami e piante di pomodoro strappate dagli orti, cespugli di rosa non ancora appassite. Alberi grandi, che la corrente sposta di qua e di là. Il sindaco Gennady Trukhanov ha annunciato che le mine portate sulle spiagge «verranno distrutte immediatamente sul posto. Sono di piccole dimensioni e potrebbero non essere visibili, in mare. Il loro sminamento è impossibile, quindi verranno fatte esplodere lì». Si sente un gran colpo, ma forse è solo una marmitta allentata. La gente gira la testa in là per un attimo, poitorna a guardare il grande scempio, le travi e i blocchi di Gasbeton con cui si costruiscono le case dei poveri. Quaderni di scuola, un mobile da cucina con scolapiatti, la serranda rossa di un garage. Il mare è deserto da mesi, non ci sono navi all’orizzonte e non ci saranno per tutta l’estate. Dopo il raccolto, arriveranno i camion con il grano da vendere all’Occidente, il porto allora si sveglierà dal sonno. Ma adesso è immobile, idocks deserti, una sfilata di portoni sbarrati e silos vuoti, i cancelli arrugginiti di salsedine. Ed era il porto di Odessa, ora lamiere che sbattono al vento. Gli esperti dicono che adesso aumenteranno le cose e gli oggetti, i pezzetti anche minuscoli delle vite di Kherson, che infine si spiaggiano qui. Ma niente è recuperabile. E poi, chi metterà mai le mani in questa sabbia, dove affiora un paio di occhiali. E l’acqua scopre i ciuffi di una pelliccia, sembra una volpe. Una tutina da neonato, azzurra. Sulla collina che scende a picco, le postazioni dei soldati di vedetta, quasi invisibili. Il mare era vuoto, ora avanza questa massa di roba morta. Sull’orizzonte una striscia nera di petrolio, che corre veloce verso Ovest. Che disastro, si pensa camminando nella sabbia sporca. Poi comincia ad arrivare la polizia, che sgombera tutti, curiosi e gente in costume, cacciatori di souvenir, uno che ha tirato su una bottiglia di liquore e ride contento, questo posto e questo mare non saranno mai più gli stessi.
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