Chi sono i partigiani che imbarazzano Kiev Analisi di Daniele Raineri
Testata: La Repubblica Data: 05 giugno 2023 Pagina: 11 Autore: Daniele Raineri Titolo: «Vita, morte e miracoli. Chi sono i partigiani che imbarazzano Kiev»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/06/2023, a pag. 11, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Vita, morte e miracoli. Chi sono i partigiani che imbarazzano Kiev".
Daniele Raineri
Bakhmut
In teoria l’Ucraina non può permettersi che due gruppi di combattenti russi anti-putinisti armati anche con fucili e blindati forniti da paesi Nato partano dal suo territorio per fare la guerra all’interno della Russia. Altrimenti perde il sostegno degli alleati – che più volte hanno dichiarato che non vogliono che il conflitto si allarghi oltre i confini ucraini. Soprattutto rischia di perdere l’appoggio dell’alleato che conta di più, l’Amministrazione Biden (per almeno altri diciotto mesi). Senza gli Stati Uniti, la resistenza di Kiev all’invasione russa sarebbe molto debole. Eppure i raid dei volontari anti-putinisti in Russia stanno diventando la nuova normalità di questa guerra e stanno ottenendo risultati impensabili: invece che essere respinti con una scrollata di spalle dall’esercito di Mosca, questi combattenti – che si contano a decine, non a centinaia – si stanno incistando nella zona di Belgorod. Non sono più missioni mordi e fuggi: tengono le posizioni, fanno prigionieri, si filmano mentre scorrazzano con i loro mezzi come fossero padroni del campo. Dire che sono russi e quindi l’Ucraina non c’entra nulla è una giustificazione che non regge: tutti sanno che anche loro, come tutti i volontari arrivati da ex Repubbliche sovietiche, sono inquadrati tra i reparti operativi della Gur, l’intelligence militare ucraina guidata dal generale Kirilo Budanov, che colleziona oppositori ceceni, bielorussi, russi, georgiani, lituani e altri per usarli contro Mosca. Quindi i raid in territorio russo, con armi e mezzi Nato, sono approvati dagli alleati? No, ma per adesso sono tollerati come eventi minori che non cambiano l’alleanza. Del resto il primo raid a Bryansk risale al 2 marzo, ci sarebbe stato tutto il tempo di imporre uno stop a Kiev. E invece ne sono seguiti altri. Il dipartimento di Stato americano ha dichiarato che c’è un’indagine in corso per capire come i blindati americani siano finiti in Russia e i media spiegano che c’è preoccupazione perché “non si sa dove potrebbero finire le armi”. Ma è lo stesso dipartimento a dichiarare che in fondo tocca agli ucraini decidere come fare la guerra. Si vede che queste operazioni aggressive in territorio russo non sono considerate svantaggiose, mentre la controffensiva ucraina nei territori occupati è sul punto di partire. Esiste un certo grado di malcontento da parte degli americani per le operazioni di Budanov e delle agenzie di sicurezza ucraine. A ottobre il New York Times, su imbeccata dei servizi americani, scrisse che l’assassinio con una bomba di Darya Dugina, figlia del propagandista Aleksndr Dugin, era stata un’operazione di “settori dello Stato ucraino”, ma che non era chiaro se il presidente Zelensky ne fosse a conoscenza. Era chiaro il tentativo di dargli una possibilità di prendere le distanze. Il 25 maggio un altro scoop del New York Times ha rivelato che l’intelligence americana è convinta che a mandare a far esplodere i droni su Mosca e a uccidere il blogger Vladen Tatarsky con una bomba in un bar di San Pietroburgo sia l’intelligence ucraina. Sono messaggi diretti al governo di Kiev: non ci piace quello che fate. I volontari russi anti Putin vengono in prevalenza da ambienti di estrema destra e odiano le ambizioni imperialiste del Cremlino perché vorrebbero un piccolo etno-stato russo, invece che una grande federazione che inevitabilmente fa da collettore per nazionalità ed etnie diverse. A loro il grande minestrone eurasiatico sognato da Putin non piace. Sono fanatici che seguono un’ideologia estremista, ma è facile immaginare che cosa pensino a Kiev: tutto funziona contro Mosca, se mandassimo in trincea soltanto chierichetti i soldati nemici sarebbero già arrivati a Odessa. Il generale Budanov è un seguace entusiasta – ma con discrezione – del cosiddetto “Piano delle sette D”: demilitarizzazione, denuclearizzazione, decentralizzazione, democratizzazione, destalinizzazione, decomunistizzazione e deputinizzazione di Mosca. In breve: smembrare la Federazione russa e rendere la Russia inoffensiva per i decenni a venire. In parte, coincide con le ambizioni dei gruppi di combattenti russi che in questi giorni creano panico a Belgorod. Il silenzio ufficiale del Cremlino sui raid di questi giorni è indicativo. La difesa di quel settore di fronte è debole, c’è qualcosa che non funziona, forse gli alti comandi hanno usato le truppe a disposizione in Ucraina e le hanno piazzate nei settori che presto saranno investiti dalla controffesiva ma hanno lasciato sguarnito il confine. Il capo del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, che fiuta sempre una buona occasione per guadagnare attenzione, si è offerto di mandare i suoi mercenari.