In Iran 90 impiccagioni in 18 giorni, intanto l’Onu assegna a Teheran la conferenza sui diritti umani Analisi di Cecilia Sala
Testata: Il Foglio Data: 20 maggio 2023 Pagina: 1 Autore: Cecilia Sala Titolo: «Le forche dell’impunità»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/05/2023, a pag.1, con il titolo "Le forche dell’impunità", l'analisi di Cecilia Sala.
Cecilia Sala
Roma. Ieri mattina tre manifestanti iraniani sono stati giustiziati nella prigione di Isfahan: si chiamavano Saleh Mirhashemi, Majid Kazemi e Saeed Yaghoubi. Erano stati arrestati a novembre con l’accusa di aver ucciso due bassiji – i paramilitari incaricati della repressione di piazza in Iran – e un poliziotto. Avevano affrontato un processo sommario e subìto torture meticolose. Il cugino di uno dei tre, Kazemi, ha diffuso su internet un audio rubato in cui il condannato a morte, dalla sua cella, dice: “Hanno la mia confessione perché ho ceduto dopo, in ordine: una sessione di elettroschock, un’esecuzione simulata e la minaccia di impiccare anche i miei fratelli”. La sera prima le autorità avevano smentito la notizia dell’arrivo dei boia nella struttura che incominciava a circolare sui gruppi Telegram, tra gli attivisti della diaspora e sui siti in lingua persiana con sede all’estero, perché avevano paura che la prigione venisse improvvisamente circondata dai giovani della protesta. La smentita era una bugia e tutti e tre sono stati impiccati poche ore dopo che venisse diffusa. Il regime giustizia a sorpresa e in segreto senza avvertire parenti e avvocati. Dopo averli uccisi, le autorità avevano un’altra preoccupazione: evitare che troppe persone partecipassero al funerale dei tre dissidenti, che quell’occasione diventasse la scintilla di un’altra ribellione. Così hanno seppellito i corpi di nascosto, in un luogo segreto, sempre senza avvisare le famiglie. Soltanto più tardi alle madri è stata concessa un’ora di tempo per pregare sulle tombe, ma in cambio dovevano accettare di farsi scortare da poliziotti armati e di non informare nessun altro del luogo della sepoltura. Su un muro accanto a una moschea di Isfahan, una città con due milioni di abitanti nel centro del paese, nel primo pomeriggio è comparsa la scritta: “Dio punirà gli ayatollah per tutto il sangue giovane che stanno versando”. Una manifestante iraniana che – per tutelare la propria sicurezza – non vuole venga pubblicato il suo nome, da Teheran dice al Foglio che le impiccagioni erano state uno strumento tanto brutale quanto efficace per sedare la rivolta Jin, Jiyan, Azadi (Donna, Vita, Libertà). Tutto era cominciato a settembre dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amini mentre era in custodia della polizia religiosa, “ma alla fine dell’anno scorso, in contemporanea con le prime impiccagioni di manifestanti tutti accusati di aver ucciso dei bassiji, i raduni erano diventati più rari fino quasi a scomparire. La protesta era proseguita sulla rete o con i gesti individuali e spontanei per la strada, ma le piazze si erano svuotate. Le pratiche terroristiche del regime per il momento hanno portato a questo risultato che non è definitivo ma è comunque triste. Noi però ci siamo illusi che con la fine delle nostre marce sarebbero sparite anche le forche, i cappi appesi alle gru e i boia. Non sta andando così”. Da quando è iniziata la protesta, le condanne a morte di manifestanti che sono già state eseguite in Iran sono sette, di cui le ultime tre all’alba di ieri. Le prime erano cominciate l’8 dicembre ma, a gennaio, la Repubblica islamica aveva di fatto sospeso le impiccagioni dei giovani manifestanti: “Anche se le autorità non lo ammetterebbero mai, la pressione internazionale aveva funzionato”. La magistratura del clero iraniano ha aspettato, ma ha solo rinviato le punizioni più crudeli a quando la pressione internazionale si sarebbe allentata. Gli ayatollah hanno imparato da tempo che l’attenzione mondiale ha dei picchi molto intensi ma quasi sempre dura poco. A maggio c’è stata l’accelerazione più spaventosa e in soltanto diciotto giorni sono state inflitte, in totale, novanta condanne a morte. Meno di una settimana fa e nel mezzo di questa escalation, l’11 maggio, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha scelto proprio la Repubblica islamica d’Iran per presiedere il Social Forum sui diritti umani che ci sarà a novembre, un evento “che mira a esplorare il ruolo della scienza e della tecnologia nel miglioramento dei diritti fondamentali degli indivudui nel mondo”. E’ lo stesso Iran che il mese scorso ha detto che userà la tecnologia – le telecamere intelligenti cinesi – per individuare le ragazze che indossano poco o male il velo e punirle anche con il divieto di studiare.
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