La guerra condotta dall’Iran sulla pelle del popolo palestinese
Analisi di Bassem Eid, da Israele.net
Bassem Eid
Per molti anni le principali potenze arabe utilizzarono il popolo palestinese e il conflitto con Israele per i loro obiettivi: in genere, repressione interna e aggressione all’estero. Ai palestinesi veniva continuamente chiesto di servire come carne da macello contro Israele al servizio dell’agenda degli stati arabi, che si rifiutavano di prendere in considerazione la pace con Israele. Oggi, gran parte del mondo arabo persegue la pace e un nuovo rapporto con le altre nazioni, mentre l’Iran ha intrapreso una crociata ideologica per dominare la regione. Attraverso la sua forza succursale, la brigata terroristica chiamata Jihad Islamica Palestinese, l’Iran si è impegnato in un ignobile atto di aggressione che ha visto più di mille razzi lanciati contro le comunità israeliane la scorsa settimana. Il danno collaterale di questi combattimenti ricade sul popolo palestinese, e mi pare che sia giunto davvero il momento di chiedersi: perché sopportiamo di essere usati in questo modo? Non mi è difficile capire come questi stati stranieri strumentalizzino il popolo palestinese. Quando ero bambino, la nostra famiglia venne trasferita con la forza dalla nostra casa di Gerusalemme est al campo profughi di Shuafat: non da Israele, ma dalla Giordania (che aveva occupato quella parte della città ndr). Oggi Gaza è diventata una base per gruppi terroristici che obbediscono a un’agenda iraniana, non palestinese. Circa un quarto di tutti i razzi lanciati dalla Jihad Islamica Palestinese durante i combattimenti della scorsa settimana sono caduti all’interno della striscia di Gaza. Almeno quattro civili palestinesi, compresi bambini, sono stati uccisi a Gaza dai lanci falliti. Eppure, giorno dopo giorno e notte dopo notte il criminale lancio di razzi è andato avanti rendendo impossibile una vita normale in molte comunità israeliane, e rendendo necessaria una risposta difensiva mirata da parte delle Forze di Difesa israeliane, l’operazione Scudo e Freccia, che a sua volta ha bruscamente interrotto la vita quotidiana nella striscia. Sul piano strategico, la tragedia dell’escalation rappresenta per il popolo palestinese una perdita secca di opportunità politiche ed economiche. La Cisgiordania e la striscia di Gaza hanno molto da condividere con Israele, il più notevole caso di successo economico in Medio Oriente che non si possa attribuire a giacimenti di combustibili fossili. I palestinesi sono stati ripetutamente invitati ad associarsi ai loro vicini in una zona di pace e prosperità che il compianto statista israeliano e Nobel per la pace Shimon Peres definiva “il Nuovo Medio Oriente”. Allo stesso tempo, per almeno tre volte (nel 2000, 2001 e 2008) la dirigenza palestinese ha respinto accordi di pace globali con Israele che avrebbero dato vita a uno stato palestinese indipendente, risolto il problema dei profughi e posto fine al conflitto. Invece, i nostri leader – il capo terrorista Yasser Arafat e il dittatore perpetuo Abu Mazen, oggi nel diciannovesimo anno del suo mandato di quattro anni – ci hanno vincolati a una guerra senza fine. Ciò che sta accadendo in Medio Oriente è molto semplice. Il regime teocratico degli ayatollah iraniani, non contento di annullare la dignità delle donne e impiccare giovani manifestanti al suo interno, cerca di imporre la sua visione apocalittica medievale all’intera regione. Così come le fazioni terroristiche che sostenevano di essere la leadership dei palestinesi vennero usate come infervorate pedine nelle guerre di potere e di prestigio in stile fascista volute dal regime panarabo di Gamal Abdul Nasser in Egitto e dal totalitarismo Ba’ath nell’Iraq di Saddam Hussein, alla stessa stregua oggi Hamas e Jihad Islamica Palestinese cercano di trascinare il popolo palestinese nei piani sanguinari dell’Iran. Ho una proposta migliore. Diamo alle nostre famiglie e ai nostri figli pace e prosperità, non proiettili e dolore; raggiungiamo un’intesa e un accordo con Israele, al posto di combattimenti senza fine e tirannia religiosa sotto l’Iran.
(Da: Times of Israel, 13.5.23)