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Il Foglio Rassegna Stampa
13.05.2023 Occhio al Papa e a Salvini
Analisi di Valerio Valentini

Testata: Il Foglio
Data: 13 maggio 2023
Pagina: 1
Autore: Valerio Valentini
Titolo: «Occhio al Papa e a Salvini»
Riprendiamo oggi, 13/05/2023, dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Occhio al Papa e a Salvini", l'analisi di Valerio Valentini.

Lega e Vaticano ai ferri corti. Papa Francesco e Matteo Salvini, il  retroscena - Affaritaliani.it
Papa Bergoglio, Matteo Salvini

Roma. Il primo incidente, è stata roba da riderci su. “Mi dicono che ho sbagliato a indossare il vestito bianco, Santità”, ha detto Giorgia Meloni a Francesco. Che, refrattario com’è agli obblighi del protocollo, ha confermato di non badarci granché a queste cose. L’altra incognita, però, potrebbe essere più spinosa. E forse è un sollievo per la premier sapere che, nell’incastro delle varie agende, Volodymyr Zelensky, oggi, incontrerà prima lei e poi il Papa. L’esordio, in effetti, sarà al Quirinale. Lì il presidente ucraino verrà accompagnato da Antonio Tajani – il ministro degli Esteri con delega agli onori di casa che andrà ad accoglierlo in aeroporto – per incontrare, ciascuno con le rispettive delegazioni, Sergio Mattarella. Incontro riservato, senza dichiarazioni pubbliche, ma con la pompa che si conviene, con gli inni nazionali eseguiti nel grande cortile. Il pranzo sarà invece a Palazzo Chigi, e vedrà Zelensky seduto a tavola con Meloni e una ristretta cerchia di collaboratori. Il tutto, prima di un colloquio più intimo, a quattr’occhi, senza interpreti. Una mezz’oretta, pare, e poi dichiarazioni alla stampa. Solo in seguito, concessa pure un’intervista esclusiva a Bruno Vespa, Zelensky si trasferirà in Vaticano. Non è banale, come dettaglio. Non lo è, almeno, per i diplomatici che tra Palazzo Chigi e la Farnesina hanno a lungo lavorato a questo incontro. Fin dalla visita di Meloni a Kyiv, a febbraio. L’invito era stato formalizzato allora; per definirlo, poi, si è approfittato della recente visita di esponenti del governo ucraino a Roma, a fine aprile, per la Conferenza sulla ricostruzione. Una complicata ricerca dell’occasione giusta, che s’è concretizzata quando Zelensky ha confermato che sì, a ritirare il Premio Carlomagno conferitogli dal cancelliere Olaf Scholz, domenica, sarebbe andato di persona. E’ lì che l’opportunità ha preso sostanza, specie quando s’è prospettata la possibilità che ad Aquisgrana, per la consegna del premio, sarebbe andato anche Emmanuel Macron: con lo spauracchio, dunque, di replicare il pastrocchio dell’Eliseo, quando Meloni s’era vista escludere dalla cena. Solo che qui, appunto, si arriva alla triangolazione con oltretevere. Che è proseguita, per certi versi, fino alla vigilia del grande evento. E così ancora ieri mattina, quando ormai la notizia della visita di Zelensky era pubblica, Meloni e Francesco si sono intrattenuti, per una decina di minuti, a parlare riservatamente nell’auditorium Conciliazione, prima di salire entrambi sul palco degli Stati generali della natalità. E c’è scappato perfino uno scambio di battute sul galateo dell’armocromia: ché vestirsi di bianco al cospetto del Santo Padre, a rigore, sarebbe prerogativa riservata esclusivamente alle regine cattoliche, per cui quella giacca candida della premier – “Ma era panna, non bianca, e sotto i pantaloni erano beige”, c’hanno tenuto a chiarire dal suo staff – era forse poco azzeccata. Se non fosse che Francesco ha liquidato tutto con un’alzata di spalle e una gustosa risata. Quanto al tono che il Papa terrà con Zelensky, quella è una domanda assai più delicata, a Palazzo Chigi. Tanto più che oggi, notano le feluche meloniane, ricorre la Madonna di Fatima: la stessa in nome della quale, dopo l’avvio dell’invasione di Putin, Bergoglio benedì, congiuntamente, russi e ucraini. E insomma si capisce che per il leader ucraino fare scalo a Roma significa anzitutto poter varcare le Mura vaticane, essere ricevuto da quel Papa che finora ha sempre tenuto un atteggiamento di caparbia equidistanza, tra aggressore e aggredito, tra Zelensky e Putin. Perfino sul piano nominale, va detto. Deve essersene accorto anche Denys Shmyhal, il primo ministro ucraino, se è vero che non ha potuto fare a meno di notare, durante la sua visita in Vaticano di due settimane fa, quella che ha preparato il colloquio odierno, che Francesco ha più volte parlato dei “presidenti Zelensky e Putin”. Scelta lessicale non casuale, visto che invece Shmyhal aveva continuato a ripetere “il presidente Zelensky e il dittatore Putin”. E una certa freddezza, pare, s’era registrata anche quando Francesco, per evidenziare il ruolo svolto dalla Santa Sede a sostegno del popolo “martire” ucraino, aveva ricordato il gran numero di orfani e giovani sfollati accolti nelle strutture umanitarie del Vaticano. Ed era stata quella l’occasione sfruttata dalla delegazione ucraina per invitare il Papa a visitare Kyiv, anche per facilitare il rimpatrio di quegli esuli adolescenti. E sarà questa, pare, la richiesta che Zelensky rinnoverà al Papa: venire a Kyiv. Da quella risposta, dunque, dipenderà l’esito della missione italiana. E certo per Meloni, che sul posizionamento a favore dell’Ucraina non ha mai avuto né tentennamenti né esitazioni, finire in mezzo a questo gioco di sponde, sia pure malgré soi, potrebbe essere scomodo. Perché inevitabilmente, non fosse altro che per prossimità geografica, un eventuale disallineamento tra Palazzo Chigi e la Santa Sede verrebbe subito notata, e inevitabilmente creerebbe imbarazzi. Sul piano diplomatico, certo, e forse pure su quello politico, almeno a giudicare dalla ricorrenza con cui il sedicente “pensiero pacifista”, compreso quello che alligna nella coalizione di destra e nella Lega in particolare, cita proprio il Santo Padre.

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