Cosa significa la vittoria a Kiev Commento di Timothy Garton Ash
Testata: La Repubblica Data: 12 maggio 2023 Pagina: 25 Autore: Timothy Garton Ash Titolo: «Il futuro dell’Ucraina»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/05/2023, a pag. 25, con il titolo "Il futuro dell’Ucraina", il commento di Timothy Garton Ash.
Timothy Garton Ash
Migliaia di giovani ucraini sono impegnati nelle ultime esercitazioni, controllano le armi in attesa del D-Day. Alcuni saranno uccisi e molti feriti nella grande controffensiva ormai sul punto di iniziare. Pensavamo di aver detto addio a tutto questo nel 1945, ma ecco, è l’Europa del 2023. Nessuno sa cosa succederà in questa campagna militare. Ma possiamo almeno essere chiari sull’esito che auspichiamo – e fermi nel nostro appoggio agli ucraini perché lo ottengano. La netta vittoria ucraina è oggi l’unica via sicura per una pace durevole, un’Europa libera e, in ultima analisi, una Russia migliore. Questo solo sarebbe il nuovo V-Day, il giorno della vittoria in Europa. Gli ucraini hanno una teoria della vittoria, che va dal successo sul campo di battaglia al cambiamento a Mosca. Preferibile sarebbe un cambio di regime, sbarazzandosi del criminale di guerra al Cremlino. Ma nell’eventualità altamente improbabile che Vladimir Putin dovesse ammettere di aver fallito e ritirasse le truppe restando al potere, sarebbe comunque una vittoria. Come pensano gli ucraini di poter vincere? La risposta potrebbe essere: come è già accaduto in passato, quando uno scacco militare ha innescato le rivoluzioni del 1905 e del 1917. Se l’esercito ucraino riuscirà a spingersi rapidamente a sud fino al Mar d’Azov, potrebbe verificarsi un crollo non lineare del morale delle forze armate russe e della coesione del regime a Mosca. La Crimea è centrale in questo scenario. Gli ucraini intendono dirigersi verso la penisola proprio perché la Crimea è quello che conta davvero per la Russia. E poi l’Ucraina non potrà mai godere di sicurezza a lungo termine con una gigantesca portaerei russa puntata al cuore. É una teoria della vittoria audace e rischiosa, ma qualcuno in Occidente ne ha una migliore? Molti politici occidentali nutrono la vaga idea che esista una via di mezzo che porti al nirvana di una “soluzione negoziata”. O, più cinicamente (con sedicente “realismo”) in termini ufficiosi sono disposti a permettere che l’Ucraina finisca per perdere forse un sesto della propria sovranità territoriale nell’ambito di una spartizione che possano chiamare “pace”. Ma nel migliore dei casi sarebbe un conflitto semi congelato in attesa di una nuova guerra. È l’ennesimo esempio di realismo fuori dalla realtà. Gran parte degli analisti militari reputano improbabile che l’Ucraina ottenga una vittoria così netta. Tra due eserciti stanchi, il favorito è chi si difende rispetto a chi attacca. L’Ucraina mostra gravi vulnerabilità nelle difese aeree. Il fatto che l’unico obiettivo ovvio sia la Crimea significa che la Russia si è preparata a difenderla. La controffensiva può mettere in campo nove nuovi battaglioni equipaggiati e addestrati dall’Occidente, ma questi hanno a disposizione un misto di armi occidentali diverse e vantano scarsa esperienza nel condurre con armi combinate le complesse operazioni necessarie a superare le linee difensiverusse. Dato che capitali come Washington e Berlino hanno tergiversato su ogni singola fornitura temendo l’escalation, gli ucraini non dispongono della quantità e la qualità di carrarmati, veicoli corazzati, missili a lungo raggio e aerei da combattimento che avrebbero potuto ottenere se l’Occidente non avesse praticato una sorta di autodeterrenza. I prossimi sei mesi saranno decisivi. Se in inverno le forze ucraine saranno ancora impantanate a metà strada, può essere che l’Occidente non fornisca un supporto militare analogo per un’altra offensiva di primavera. Potrebbe venir meno il sostegno politico, soprattutto negli Usa in vista delle elezioni presidenziali del prossimo autunno. In Ucraina poi crollerebbe la fiducia. Putin resterebbe al potere. L’alternativa, forse improbabile, ma comunque possibile, è una netta vittoria ucraina. Poiché questa implicherebbe una sconfitta che neppure la macchina delle menzogne di stato di Putin riuscirebbe a mascherare. Anche se nessuno sa esattamente cosa succede dentro la scatola nera del Cremlino, l’analisi basata sull’intelligence indica che Putin ha considerato e rifiutato l’opzione del ricorso alle armi tattiche nucleari che non comporterebbe alcun chiaro vantaggio militare, alienando al contempo la Cina e l’India. Ma la situazione attorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia è estremamente preoccupante e Putin ha a disposizione altre possibili reazioni asimmetriche, come un cyberattacco o prendere di mira un gasdotto. Cosa dovremmo fare? Non spaventarci, bensì prepararci. Evitare un rischio immediato può crearne di maggiori in seguito. Tra questi non solo la recrudescenza del conflitto armato in Ucraina, ma il fatto che la Cina si senta incoraggiata a provarci con Taiwan. Ho perso il conto delle volte che mi sono sentito dire da ucraini che il maggior problema dell’Occidente è la paura. Quindi dobbiamo mantenere i nervi saldi e mostrare solo un po’ della forza d’animo che quelle migliaia di giovani ucraini stanno dimostrando preparandosi a rischiare la vita per difendere la loro libertà. Mi rendo perfettamente conto che se anche vado qualche volta nel Paese in guerra non corro certo neppure una minima parte dei pericoli che affrontano gli ucraini. I governi responsabili devono riconoscere, anticipare e valutare con cautela i rischi reali di escalation. La prudenza non è vigliaccheria. Ma c’è un’altra cosa da evitare: parlare di “pace” e “responsabilità” in termini vaghi, che significa in realtà esortare o addirittura costringere altre persone a sacrificare le proprie case, la propria libertà e sicurezza in modo che i cittadini di Paesi come la Germania, la Francia o l’Italia possano, anche se solo nel breve periodo, continuare a godere di tutte queste cose. L’Occidente lo ha fatto molte volte in passato con gli abitanti dell’Europa centrale e orientale. Non facciamolo di nuovo.
Traduzione di Emilia Benghi
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