Ucraina: via ai raid mirati Analisi di Gianluca Di Feo
Testata: La Repubblica Data: 11 maggio 2023 Pagina: 12 Autore: Gianluca Di Feo Titolo: «Via ai raid mirati: Kiev ha iniziato la fase uno della controffensiva»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 11/05/2023, a pag. 12, con il titolo "Via ai raid mirati: Kiev ha iniziato la fase uno della controffensiva" la cronaca di Gianluca Di Feo.
Gianluca Di Feo
La controffensiva ucraina è già cominciata. Senza squilli di tromba e bombardamenti di artiglieria, senza cariche di carri armati o masse di fanti lanciati all’assalto, ma le operazioni preliminari del grande attacco sono iniziate. Lo dimostrano i movimenti dei reparti, con le unità scelte formate nei campi d’addestramento europei trasferite in prossimità delle zone calde. E lo testimonia una serie di scontri avvenuti nelle scorse giornate. D’altronde anche la decisione del comandante in capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, di disertare il vertice del comitato militare Nato è indicativa del clima nel quartiere generale, impegnato «in una situazione operativa tesa». In queste ore le brigate di Kiev stanno provocando in più punti le difese russe, cercando di valutarne la reazione per individuare le posizioni su cui tentare lo sfondamento. Ci sono state almeno due azioni anfibie aldilà del Dnipro, la barriera d’acqua che definisce il confine tragli eserciti dal Donbass al Mar Nero. Raid condotti con una cinquantina incursori, stabilendo piccole teste di ponte per comprendere se esistono le condizioni per varcare il fiume con task force più pesanti, ad esempio nell’isola Potemkin non lontano da Kherson. La risposta dell’artiglieria di Mosca è stata immediata: per ora, lo sbarco in grande stile non è possibile. Paradossalmente, l’elemento più fragile dello schieramento russo è Bakhmut. I mercenari della Wagner hanno conquistato quasi il novanta per cento della città, ma intorno a loro c’è una pianura senza ripari. Lo Stato maggiore di Mosca ha sempre diffidato dell’affondo per prendere Bakhmut, gestito da Evgenij Prigozhin come una questione privata: la vittoria non avrebbe cambiato lo scenario, mentre il rischio di finire intrappolati tra le macerie è altissimo. E se finora la resistenza è stata affidata soprattutto ai fanti dei reparti territoriali, da alcuni giorni sono entrate in scena unità agguerrite, come la Terza Brigata Azov, equipaggiata con cingolati americani e tank polacchi. Da martedì la Azov ha cominciato a spingere sul fianco sud della città, mettendo in crisi la 72ma brigata russa e avanzando per circa tre chilometri. Poco più che una scaramuccia, sufficiente però a confermare i timori dei generali russi che da tempo chiedono di arretrare le posizioni e litigano con Prigozhin. La sfida chiave però si combatterà altrove. Lo snodo è più a sud: Melitopol, il terminale delle strade e delle ferrovie che riforniscono l’armata di Mosca a ovest del Mare di Azov. Conquistarla permetterebbe agli ucraini di dividere in due il territorio in mano agli invasori e aprireuna breccia verso la Crimea. Per riuscirci, devono partire dai dintorni di Dnipro o di Zaporizhzhia: l’unica zona dove i tiri di artiglieria non sono diminuiti. Lì sono state notate le nuove brigate 116 e 118 preparate dagli istruttori della Nato: vanno a completare il Decimo Corpo d’Armata ucraino che conterà circa 40 mila soldati freschi, compresi battaglioni di parà e marines con gli armamenti migliori, tra cui tank Leopard e Challenger. Anche al Cremlino lo sanno ed è stata costruita una barriera profonda venticinque chilometri: un triangolo con i vertici a Kopani-Robotyne- Tokmak. Le immagini dei satelliti mostrano villaggi trasformati in fortezze; file multiple di trincee; caposaldi per proteggere mezzi blindati; bunker con missili controcarro; batterie di cannoni e mortai alternati a simulacri per ingannare il fuoco nemico. Un baluardo su più strati che ha lo scopo di rallentare qualsiasi avanzata e dare il tempo per organizzare un contrattacco. Contrariamente alla scorsa estate, quando furono sbaragliati per l’assenza di riserve, i russi hanno tenuto una massa di uomini e mezzi nelle retrovie. Stanno puntellando le basi difensive con centinaia di vecchi tank T-62 mentre contingenti di nuovi T-90 e dei modernissimi T-14 restano fuori della portata dei razzi ucraini per intervenire quando sarà necessario. Inoltre hanno migliorato le capacità dell’aviazione, dotandola di bombe di precisione: i Sukhoi colpiscono magazzini e caserme dietro le linee. Anche per questo, gli ucraini tengono lontani i tank ottenuti dall’Occidente e li sposteranno rapidamente sul fronte solo nel momento dell’assalto. Quando? Probabilmente tra un paio di settimane, dopo avere messo alla prova le difese e definito la seconda fase dell’operazione. Ma se dovessero individuare un varco prima, allora lanceranno subito i tank. «Nessuno sa quali saranno i nostri programmi, perché il piano finale non è stato ancora approvato», ha dichiarato ieri Oleksy Danilov, segretario del Consiglio di sicurezza ucraino. L’unica certezza è che la battaglia sarà lunga e drammatica, con esiti molto più incerti del previsto: stiamo assistendo all’esordio del più sanguinoso scontro visto in Europa dal 1945, che coinvolgerà almeno 300 mila militari.
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