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Il frutteto David Hopen Traduzione di Nicola Manuppelli Nutrimenti euro 24 La mole del romanzo di David Hopen che la casa editrice Nutrimenti pubblica con il titolo “Il frutteto” potrebbe scoraggiare alcuni lettori.
In realtà le oltre cinquecento pagine di questo folgorante esordio narrativo si leggono d’un fiato perché è un romanzo epico, curato nei dettagli, con diverse chiavi di lettura e livelli d’interpretazione, in cui serpeggiano sentimenti ed emozioni che non scadono mai nella retorica, ricco di richiami letterari, religiosi e della tradizione ebraica.Considerato un astro nascente della letteratura ebraico-americana, laureato allo Yale College, David Hopen è un autore che nonostante la giovane età rivela uno stile maturo nel dar vita a una commovente storia di formazione, con un intreccio narrativo ben costruito che ricorda i romanzi di Chaim Potok.
La sua vita scorre tranquilla dettata dai “precetti” religiosi, da uno studio scrupoloso della Torah con l’ausilio del padre ben inserito in un mondo in cui i “diversi” sono quelli che non seguono le regole sociali imposte dalla religione. A volte però il destino scompagina anche le esistenze più tranquille, cambiando in modo repentino un percorso che si credeva già tracciato.
Anche Aryeh entra in un circuito molto diverso da quello in cui è cresciuto. Conosce il suo vicino di casa Noah Harris, un ragazzo molto popolare che lo invita a una festa in piscina, inizia a frequentare una prestigiosa accademia ebraica entrando in contatto con compagni ribelli e ambiziosi alla perenne ricerca dei piaceri della vita. L’esistenza che ha condotto a Brooklyn fino a poco tempo prima con il rispetto delle tradizioni ebraiche, la lettura dei testi sacri, le cene in famiglia, si allontana per essere sostituita da feste dove circola alcol e droga e dalle prime pene d’amore nei confronti dell’altro sesso, giovani donne disinibite che mai si sarebbe sognato di sfiorare. Per Ari inizia un periodo in cui le contraddizioni tra ciò che lo circonda e di cui rimane affascinato e il suo vissuto diventano l’occasione per una profonda revisione di quelle certezze che erano state i capisaldi della sua educazione. “Mi piaceva avere amici, amici veri, e stavo imparando ad apprezzare la persona che ero quando stavo con loro, anche le volte in cui significava accettare di gravitare in un mondo a cui non sarei mai appartenuto totalmente… mi piaceva sentirmi, per la prima volta, radicato in un gruppo, ancorato a qualcosa di concreto…”
una figura carismatica che prima coinvolge Ari offrendogli spunti di lettura nel corso di incontri privati - “In quegli incontri, passando da Kierkgaard a personaggi come Blake e Aristotele, avevo scoperto un vero maestro, il rebbe che non avevo mai trovato a casa” – poi allarga la discussione su temi filosofici e religiosi, sollevando profonde riflessioni sulla vita, anche agli amici di Ari. In questo modo quei giovani “ribelli” hanno un’opportunità preziosa di confrontarsi sulla fede, la sofferenza e il lutto (un amico di Ari ha perso da pochi mesi la madre per una grave malattia), oltre che sul senso di colpa. Molto interessanti sono le pagine il cui il rabbino Bloom coinvolge i ragazzi sul termine “Pardes” e in particolare si sofferma sul “tema dell’Aggadah dei quattro rabbini del periodo mishnaico che visitarono il Frutteto (cioè il Paradiso), citata in esergo al romanzo”.
“Il frutteto”, che accompagna il lettore con una miriade di personaggi e di situazioni indimenticabili, si rivela “una grande riflessione sull’essere ebreo in America oggi, sullo scontro tra giovinezza ed esperienza, empietà e pietà, individualismo e conformismo”. Giorgia Greco |
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