Testata: La Stampa Data: 10 maggio 2023 Pagina: 13 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Pochi mezzi e raffiche di bugie storiche perfino Prigozhin ora umilia lo Zar»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/05/2023, a pag.13 con il titolo "Pochi mezzi e raffiche di bugie storiche perfino Prigozhin ora umilia lo Zar" il commento di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Evgeny Prigozhin
Il vecchio carro armato T-34-85, entrato solitario in piazza Rossa, è diventato subito il simbolo di questa parata di una vittoria sempre più lontana. Costruito negli Anni 50 in Cecoslovacchia, inviato alle forze armate del Laos, rimpatriato qualche anno fa insieme ai suoi compagni come cimelio storico da utilizzare nelle riprese cinematografiche: l'anziano tank è il simbolo di un impero sovietico sparito ormai trent'anni fa, un residuato rimaneggiato come la storia che viene chiamato a rappresentare, nel tentativo di identificare la «grande guerra patriottica» conclusa vittoriosamente dall'Armata Rossa 78 anni fa a Berlino con l'"operazione militare speciale" dell'invasione dell'Ucraina. Vladimir Putin dalla tribuna parla di una "guerra sacra", ma il tentativo di presentarla come il sequel della missione storica di Mosca è efficace quanto la sostituzione delle interminabili colonne corazzate con un carro d'epoca. La parata della Vittoria, il rituale più solenne del giorno più importante del calendario putinista, non è mai stata meno scintillante e più scoraggiata. Gli appassionati del genere non hanno potuto godersi il passaggio dei mezzi pesanti, uno dei momenti culminanti delle cerimonie dai tempi sovietici: i carri in dotazione all'esercito russo sono al fronte, insieme ai blindati, agli obici e a tutto il resto dell'arsenale russo, oppure bruciati e sventrati a centinaia nei campi ucraini. Sfoggiare sotto le mura dell'antica fortezza degli zar una potenza da mostrare alle telecamere sarebbe stato un stridente contrasto con la sempre più evidente scarsità dei mezzi della "operazione militare speciale". Sono settimane che i social russi sono pieni di filmati e foto di carri armati caricati sui treni diretti in Ucraina, spesso vecchi arnesi tirati fuori dagli hangar dove erano stati parcheggiati in pensione. Mostrare in queste circostanze il T-14 Armata, che negli anni scorsi ha sfilato seppure con notevole apprensione per eventuali guasti, ma non è mai stato prodotto in serie, sarebbe stato di cattivo gusto e qualcuno al Cremlino se ne è reso conto. Se il T-34 è il simbolo di una ricostruzione storica artificiale, il T-14 è un villaggio Potiomkin sui cingolati, un monumento di 55 tonnellate alle bugie e alle ruberie di un regime. E i giganteschi missili nucleari Yars, l'unica arma pesante a sfilare in piazza Rossa, sono la rappresentazione dell'ultima risorsa strategica del Cremlino, invocata ormai quotidianamente dalla propaganda che minaccia un'apocalisse finale perché la Russia non è stata in grado di vincere una guerra convenzionale nemmeno nel Donbass. Una parata davvero simbolica, nei mezzi scarsi, nella paura dei droni ucraini che ha spinto a cancellare il passaggio dei caccia sopra la piazza Rossa (e a cancellare del tutto le sfilate militari in 24 città russe per timore di attacchi o manifestazioni di protesta), nell'imbarazzo dei leader dei Paesi postsovietici costretti all'ultimo momento a volare a Mosca per non lasciare solo Putin, a quanto pare da una gentile richiesta di Pechino. Nelle parole del discorso del presidente (e nei pettegolezzi su quanto sia davvero il presidente e non uno dei suoi sosia), un remix delle sue abituali accuse all'Occidente che vorrebbe togliere alla Russia la gloria, la potenza, e i valori tradizionali della famiglia. Nella decisione di non invitare in piazza Rossa gli ambasciatori di Usa e Regno Unito, gli "anglosassoni" ormai ufficialmente nemici, cancellando il ricordo degli Alleati che perfino i leader comunisti sovietici non riuscivano a censurare. La Seconda guerra mondiale ormai è solo russa, è della Russia contro tutti, «di nuovo», dice Putin mischiando il Terzo Reich e la Nato, gli aggressori e gli aggrediti, i liberatori e gli oppressori, in una ricostruzione storica surreale che non propone ai russi nessuna idea, nessun obiettivo, nessun significato della guerra odierna, che di conseguenza risulta priva anche di un termine, e di una "vittoria". Per il capo del Cremlino una guerra senza fine diventa anche l'unica possibilità di restare al potere, ma proprio ieri il suo diritto al trono è stato messo in discussione dal suo ormai ex fedelissimo Evgeny Prigozhin. Il capo dei Wagner non solo ha registrato un video molto polemico contro i militari russi che «stanno scappando dal fronte di Bakhmut», ma ha anche per la prima volta esteso le sue violente critiche ai generali russi anche al Cremlino. Prigozhin ha menzionato un «nonno felice che crede di essere contento». Il "nonno" nel gergo politico dei russi è Putin, non tanto per la sua età di 70 anni quanto per l'ossessione nostalgica unita a un distacco sempre maggiore dalla realtà. Ma nessuno dei putiniani ha finora osato pronunciarlo in pubblico, e chiedere con tono beffardo «come vincere la guerra se un giorno, per puro caso, dico tanto per dire, si scoprisse che il nonno è uno stronzo irrecuperabile?».
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