L’ottovolante su cui vivono da vent’anni gli israeliani attorno a Gaza (allarme spoiler: non c’è niente di divertente)
Analisi di Matan Tzuri, da Israele.net
Matan Tzuri
È molto difficile descrivere e comprendere le piccole cose, gli eventi minuti e intimi che si verificano nelle nostre case a Sderot e in altre comunità israeliane nella regione attorno al confine con la striscia di Gaza durante ogni round di attacchi da oltre frontiera. Anche se pensiamo di capire – e a volte vediamo foto e video che colpiscono al cuore – è tutto ancora molto lontano dalla realtà. Ed è difficile da descrivere a parole. Ma nel profondo delle nostre case, delle nostre famiglie e soprattutto dei nostri figli, la situazione di sicurezza che dura da anni lascia il segno. L’improvvisa corsa a perdifiato verso il rifugio antiaereo più vicino, il fischio dei razzi che cadono, le lacrime e gli attacchi di panico, le domande che fanno i bambini e restano senza risposta, le notti insonni e il sonno agitato: questa è la realtà da queste parti. È difficile capire per chi non abita qui, per quanto creda di esserne sbigottito nella routine e nell’emergenza. In ogni casa nella regione ai confini con Gaza sirene ed esplosioni scuotono l’anima e determinano conseguenze latenti. Perché? Perché la reazione angosciata è una questione intima e non tutti se la sentono di condividerla. Sono vittime di uno shock invisibile, se vogliamo. Quando li incontri, non li senti dire nulla. Sorridono persino, e diranno che va tutto bene. Ma non è affatto vero. E sapete una cosa? Queste persone sono la maggioranza. La maggioranza silenziosa. Tra i professionisti della salute mentale, che sanno per esperienza vissuta, queste persone sono considerate una “sfida”. Cioè, la sfida di individuarle, di farle uscire dalla bolla di silenzio e prendersi cura di loro, perché altrimenti potrebbero scoppiare e causare più danni. Cosa può accadere a una persona normale la cui intera vita oscilla in continuazione tra la routine e l’emergenza, con estrema incertezza e sotto costante pressione mentale? Siamo persone, non robot. Fin dalla più tenera età, anche all’asilo, ci viene insegnato che c’è una causa e un effetto in ogni cosa della vita. Quindi, ecco il risultato di oltre vent’anni di lanci di razzi a intermittenza, ecco come appaiono le persone e come si sentono. Fino a che punto esattamente intendete portarci? Gli abitanti del sud di Israele hanno già superato il punto di rottura, e più di una volta. Lo so che il governo e l’esercito si aspettano da noi che dimostriamo resilienza e determinazione nello stesso spirito della generazione che ha fondato Israele. Ok, chiaro, ricevuto. Ma noi non siamo la generazione del 1948, con tutto il rispetto per questa meravigliosa generazione. Ai loro tempi, pagarono un prezzo per avere un futuro migliore e più tranquillo. Cosa direbbe qualcuno di quella generazione se tornassimo indietro nel tempo e dicessimo loro che, se loro dormivano nei bunker, noi dormiamo nei rifugi antiaerei? La generazione dei fondatori non ha lottato per questa realtà. Dal primo pomeriggio di martedì fino al mattino successivo, gli abitanti che vivono in tutta la regione meridionale d’Israele hanno interrotto la loro vita e si sono barricati nei rifugi antiaerei perché così aveva deciso la Jihad Islamica Palestinese. All’inizio di questo round, verso mezzogiorno, dopo 20 minuti di lanci di razzi il gruppo terroristico ha deciso che poteva tornare un po’ alla normalità e ha smesso di sparare per alcune ore. Dove abbiamo già sentito storie di questo genere? Beh, sempre qui: in Israele. E cosa significa per noi? Che tutto viene cancellato in un attimo: lezioni, trasporti, concerti, ritrovi. Blackout totale. Questo folle passaggio dalla normale routine ad un’emergenza di vita o di morte avviene in pochissimi secondi, una sensazione che ti prende allo stomaco, un effetto che non ti può dare nemmeno l’ottovolante di un parco divertimenti. È insopportabile. Sapete quanti genitori sono saliti sull’ottovolante imposto dai terroristi martedì pomeriggio, con i figli non al loro fianco – appena usciti da scuola o per strada per andare a trovare amici – e sirene ed esplosioni che rimbombavano tutt’attorno? Così tanti che non c’erano più posti liberi sui vagoncini dell’ottovolante. Immaginate soltanto come mi sono sentito io, quando tutto è iniziato e i miei figli non rispondevano al telefono.
(Da: YnetNews, 3.5.23)