Testata: Il Foglio Data: 05 maggio 2023 Pagina: 1 Autore: Cecilia Sala Titolo: «Droni e obiettivi»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/05/2023, a pag.1, con il titolo "Droni e obiettivi", l'analisi di Cecilia Sala.
Cecilia Sala
Roma. “L’Ucraina conduce una guerra esclusivamente difensiva e non attacca obiettivi sul territorio della Russia. Per quale motivo dovrebbe? Non risolverebbe nessuno dei nostri problemi militari”, ha detto Mykhailo Podolyak, consigliere di Volodymyr Zelensky, dopo che due droni sono arrivati fino alla cupola del Cremlino. In circostanze come questa non è possibile avere certezze perché non si può indagare sui frammenti precipitati sul tetto del palazzo o su altre prove, ma questa risposta di Kyiv è lacunosa: l’Ucraina ha condotto operazioni in Russia e, almeno una, dimostrativa, a cui non corrispondeva nessun vantaggio militare immediato. Le operazioni simboliche possono portare guadagni concreti nella guerra. Il 28 febbraio l’Ucraina ha lanciato un attacco in vari punti del territorio russo con dei droni massicci che si produce in casa, non era la prima volta, c’erano state varie incursioni simili e già all’inizio dell’invasione su larga scala Kyiv era riuscita a infiltrarsi con degli elicotteri in Russia per un blitz rapido contro un deposito di carburante. A ottobre e dicembre erano state colpite con i droni basi aeree di cui una a 560 chilometri di distanza dal confine. Ma mai così tanti velivoli avevano violato lo spazio aereo russo contemporaneamente come il 28 febbraio. Quel giorno a Krasnodar, nel sud, un deposito di benzina era stato incendiato, altri droni erano andati a Belgorod e Bryansk, alcuni avevano colpito il bersaglio ma senza infliggere danni pesanti. Un altro drone aveva viaggiato per 400 chilometri indisturbato ed era arrivato a poco più di un’ora da Mosca, era stato notato e poi abbattuto perché in quel punto si era impigliato tra le chiome degli alberi. Gli esperti si erano chiesti se mandare così tanti droni sparpagliandoli in direzioni diverse significasse che Kyiv stesse cercando di testare le difese di Mosca per capire fino a che punto potesse mandarle in confusione. Sei giorni prima, il 22 febbraio, la Cia stilava un rapporto in cui è scritto che il capo dell’intelligence militare di Kyiv, il generale Kyrylo Budanov, “aveva accettato, su richiesta di Washington, di rinviare” gli attacchi su Mosca. Solo di rinviarli e non di annullarli – il documento è autentico ed è stato rubato durante i Pentagon leaks e poi pubblicato in esclusiva dal Washington Post. A San Pietroburgo il 28 febbraio non c’erano state esplosioni o danni ma era avvenuto lì l’attacco più importante, ed era prettamente simbolico: l’aeroporto aveva chiuso per un’ora, era stata imposta una no fly zone di un raggio di 200 chilometri su tutta l’area circostante, le autorità locali erano andate nel panico. Allo stesso tempo gli hacker ucraini erano riusciti a violare i canali locali, avevano messo il suono dell’allarme della contraerea a tutto volume seguito da un messaggio registrato che invitava gli abitanti a recarsi nei rifugi. I russi che vivono nella seconda città del paese, per la prima volta, avevano avuto l’impressione che la guerra fosse entrata in casa loro. Nessuno si era fatto male e, visto che Kyiv non aveva colpito alcun bersaglio militare, si potrebbe pensare a un gesto dimostrativo un po’ crudele e allo stesso tempo inutile. Invece, se la Russia scopre che i suoi cieli sono violabili è costretta a destinare più munizioni per la contraerea a ciò a cui da più importanza, il proprio territorio, sottraendole alle zone occupate dai suoi soldati in Ucraina: è un vantaggio militare per Kyiv perché meno sono difesi i depositi di armi e le concentrazioni di truppe nemiche più ha chance di riuscire a scacciarle. Se, dal primo giorno dell’invasione il 24 febbraio del 2022, Kyiv non si fosse mai mostrata capace di bucare lo spazio aereo russo, il Cremlino avrebbe potuto destinare più missili della difesa aerea alla sua guerra contro gli ucraini. Cinque mesi fa un analista e militare ucraino aveva spiegato al Foglio che dietro alle azioni in Crimea e alle parole di Zelensky in proposito non c’era per forza la sincera ambizione di riprendere militarmente la penisola, veniva prima di tutto un altro obiettivo: far sentire i russi insicuri rispetto alle ciò che sta loro più a cuore e costringerli a indietreggiare per difendere bene quello, liberando da un po’ di armi e di uomini le province che sono invece la priorità di Kyiv: quelle occupate negli ultimi 14 mesi che sono l’obiettivo della prossima controffensiva. Uno dei più famosi attacchi di Kyiv in Russia – come ha rivelato l’intelligence americana al New York Times – era dimostrativo, non c’era un’utilità militare nell’autobomba che ad agosto ha ucciso Daria Dugina e probabilmente intendeva ammazzare il padre Alexander Dugin, che promuoveva il genocidio ucraino. Per esempio il Mossad israeliano è famoso per le operazioni su suolo straniero, contro i nazisti prima e i terroristi poi, la dottrina dell’agenzia non le considera violenza gratuita o azioni simboliche, ma deterrenza.
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