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La Repubblica Rassegna Stampa
05.05.2023 Zelensky al tribunale dell'Aja
Cronaca di Paolo Brera

Testata: La Repubblica
Data: 05 maggio 2023
Pagina: 12
Autore: Paolo Brera
Titolo: «Zelensky all’Aia: “Nessun attacco, sarà questa Corte a giudicare Putin”»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/05/2023, a pag. 12, con il titolo "Zelensky all’Aia: “Nessun attacco sarà questa Corte a giudicare Putin” " la cronaca di Paolo Brera.

Zelensky delivers impassioned address ahead of invasion
Volodymyr Zelensky

ODESSA — Per la prima volta da quando è iniziata l’invasione ucraina su larga scala, il presidente Volodymyr Zelensky non è a Kiev mentre il paese affronta ore difficili. Era a Helsinki, in Finlandia, mentre due droni beffavano Mosca piovendo sui tetti del Cremlino. E mentre i russi rispondono con una raffica continua di attacchi accusandolo di aver attento alla vita di Putin, lui li sfida: «Non attacchiamo Putin, lo lasceremo alla giustizia internazionale», annuncia prima di riapparire all’Aia, in quella Corte penale che ha spiccato un ordine di arresto accusando il presidente russo di crimini contro l’umanità: «Sono certo che vogliate vedere qui un altro Vladimir. Accadrà, quando vinceremo». La tensione resta altissima. Ieri pomeriggio, a Kiev, i residenti nel quartiere Solomyansky, in centro, hanno trascorso mezzora da far tremare le gambe anche a chi è abituato a sentire i rumori osceni della guerra. Un drone ha messo a dura prova le difese di Kiev. È la zona della stazione centrale, del ministero della Difesa e della centrale elettrica che più volte hanno tentato inutilmente di colpire. E alla fine dell’allerta, quando restano solo incendi e fumo, si scopre che era un Byraktar ucraino fuori controllo: hanno dovuto abbatterlo in mezzo alla città. Diventa sempre più vigliacca, questa guerra che si allontana dal fronte e si arrampica sui droni. Gli Shahed iraniani sono ormai una minaccia quotidiana. Dopo il grande smacco, mercoledì notte i russi li hanno spediti a Odessa scrivendoci sopra “per Mosca e per il Cremlino”, destinati all’accademia militare. La notte l’abbiamo trascorsa nei rifugi, non erano così pieni da chissà quando. Pigiama e giaccone nei garage e nei sotterranei, c’è l’acqua e la luce, una presa di corrente e qualche sedia. Dalle finestre dell’albergo si vedono e si sentono le raffiche sparate in cielo, qualcuno di tanto in tanto sale a osare per una sigaretta e un brivido. Qualche giorno fa il presidente ucraino ha annunciato come imminente la controffensiva ucraina sognata per tutto l’inverno dal suo popolo, e ieri il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Usa, John Kirby, ha confermato che Kiev ha tutto ciò che occorre: mezzi, munizione e personale formato. Ma il presidente Zelensky non è in Ucraina, e non si sa quando tornerà. «Non prima del 16 maggio», speculano i commenti più gettonati sui social. Sarebbe all’indomani dell’appuntamento a Berlino fissato il 13 e il 14. È stata una “fuga” per far sbollire l’ira dei falchi russi evitando una reazione troppo violenta? «Non potrebbe sfuggire per sempre a una vendetta, se fosse la vera ragione. Ne dubito», dice il direttore del think tank Prism, Gennady Maksak: «Era un’agenda certamente già fissata in vista del verticedella Nato e del rapporto sulla preparazione dell’Ucraina per i negoziati sull’adesione alla Ue». L’agenda del presidente di uno stato sotto occupazione è un evidente segreto militare. Ma la visita non annunciata iniziata il 3 maggio in Finlandia è una coincidenza sorprendente. Il governo ucraino ha preso fermamente le distanze dall’attacco, ma non sono passati inosservati i post su Telegram e suTwitter con cui il vice capo dell’ufficio presidenziale, Andry Yermak, sembrava rivendicarlo con emoticon di missili. In ogni caso, Zelensky ha lasciato il suo Paese in un momento particolarmente delicato, tra sciami di attacchi con droni a obiettivi in Crimea e Russia — dove gli ucraini mirano ai depositi di carburante — e repliche come la strage a Kherson, 23 civili uccisi in un giorno. Non è certo la prima volta che Zelensky lascia l’Ucraina per raccogliere consensi e aiuti, per chiedere armi e munizioni più incisive — ora è il turno degli F-16 — l’ingresso nella Ue e l’adesione alla Nato. Ma è la prima volta che lo fa nei giorni neri, in cui la pressione russa è massima. È un segno di forza anche questo: il suo Paese non ha più bisogno di essere preso per mano, gli ucraini hanno fiducia nella controffensiva imminente, credono nella vittoria anche quando i russi minacciano di scatenare la fine del mondo con i bombardieri. Di fronte al Parlamento olandese, con il premier Mark Rutte e nella sede della Corte penale internazionale fa quello che sa fare meglio: conquistare con la mimica che domina il palcoscenico: «Questa guerra, che non volevamo, deve essere l’ultima », dice chiedendo un tribunale speciale per il reato di aggressione. E mentre tutti lo aspettano a Berlino e qualcuno prevede che spunti a sorpresa tra gli invitati all’incoronazione di re Carlo, magari lui riapparirà a Kiev per lanciare la controffensiva ucraina.

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