Testata: La Repubblica Data: 03 maggio 2023 Pagina: 24 Autore: Andrea Romano Titolo: «La lezione di Orwell»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/05/2023, a pag. 24, con il titolo "La lezione di Orwell", il commento di Andrea Romano.
George Orwell
Carlo Rovelli è perfettamente titolato a criticare il sostegno italiano all’Ucraina aggredita e massacrata da Putin, a definire “piazzisti di strumenti di morte” coloro che lavorano nell’industria militare e persino a dubitare che la Resistenza italiana sia stata “effettivamente una guerra di liberazione” (come ha detto in tv qualche giorno prima di intervenire al concertone del Primo maggio). Lo è come qualsiasi altro cittadino italiano, a cui la Costituzione (nata dalla Resistenza) garantisce piena libertà di parola senza che vi sia alcun dovere di essere esperto del settore sul quale s’interviene. Ma da uomo di vaste letture quale egli certamente è, Rovelli avrà di sicuro incrociato le riflessioni di George Orwell sulla guerra e sulla pace. Riflessioni che non nascevano solo da meditazioni teoriche, ma anche dall’impegno personale e concreto che Orwell dedicò da uomo di sinistra a contrastare il nazifascismo e il totalitarismo del suo tempo: lo fece in Spagna combattendo tra coloro che tentarono di difendere la repubblica dall’aggressione franchista, addestrando la milizia popolare che avrebbe dovuto resistere all’invasione tedesca della Gran Bretagna, scrivendo sul fascismo e lo stalinismo le opere immortali che tutti conosciamo. Rovelli ci perdonerà, dunque, se lasceremo che sia lo stesso Orwell a rispondere al suo invito a sbaraccare il sostegno economico, umanitario e militare che l’Italia sta garantendo alla resistenza ucraina: “Durante l’estate (del 1940) l’intellighenzia di sinistra era totalmente disfattista, molto più di quanto si permettesse di dimostrare sulla stampa. Nel momento in cui sembrava probabile l’invasione dell’Inghilterra, un noto intellettuale di sinistra in realtà avrebbe voluto scoraggiare la resistenza di massa, sostenendo che i tedeschi sarebbero stati più indulgenti se non avessero incontrato opposizione. Era anche allo studio una mossa, inprevisione della futura occupazione nazista, che avrebbe convinto la sezione speciale di Scotland Yard a distruggere i dossier politici che sicuramente possiede su molti di noi. Tutto questo in forte contrasto con la gente comune, che o non si era resa conto del pericolo incombente sull’Inghilterra o era determinata a resistere fino all’ultima trincea”. Orwell scriveva nella primavera 1941, prima dell’entrata in guerra dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti, mentre la Gran Bretagna era rimasta l’unica potenza europea a contrastare quella che appariva come l’implacabile avanzata delle armate hitleriane. E scriveva in questo caso da corrispondente britannico della Partisan Review ,rivista della sinistra radicale statunitense che ospitava le poche voci che in quegli anni osavano pronunciarsi da sinistra contro lo stalinismo. Sono nomi, temi e tempi lontanissimi da noi. Eppure queste pagine di Orwell ci parlano ancora, come accade con i grandi classici del pensiero e della letteratura. Perché quegli inviti a scoraggiare la resistenza all’aggressione e quella speranza nell’indulgenza degli aggressori sono gli stessi che leggiamo nelle parole di Rovelli e di altri che, certamente in buona fede, ritengono che questa volta sia diversa da ogni altra. Perché la difesa degli ucraini non merita granché al di là di qualche buona parola di circostanza, perché l’Europa è per sua stessa natura ipocrita e corrotta, perché i mali del mondo sono tanti e contrastarne solo uno dimenticandosi di tutti gli altri è solo esercizio di falsità. Tutto legittimo, ci mancherebbe. Compresa la distanza dalle ragioni dell’umanità e dal buon senso della “gente comune” che, come ricordava Orwell, capisce facilmente come dinanzi ad un aggressore spietato l’unica strada sia “resistere fino all’ultima trincea”.
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