L'ebraismo ortodosso in un romanzo americano
Recensione di Antonio Donno
Il frutteto, di David Hopen
La parola ebraica pardes significa frutteto. Nel Talmud questa parola sta a indicare il Giardino dell’Eden. Aryeh Eden è il personaggio principale de Il frutteto, romanzo d’esordio di David Hopen (Roma, Nutrimenti, 2023). Questi riferimenti sono indispensabili per orientarsi nella trama del libro, nella quale Aryeh vive un’esperienza traumatica all’interno di una nuova realtà esistenziale che lo porterà a sfiorare la perdita definitiva di se stesso, come nel caso dei quattro uomini che nel Talmud osarono entrare nel pardes e, tranne uno, chiusero la propria esistenza per aver violato l’inviolabile. Nel romanzo di Hopen è Aryeh a sopravvivere e per una ragione di un’importanza estrema: il suo ebraismo vero, radice intima della sua esistenza.
Aryeh è il figlio unico di una modesta famiglia ebraica radicata nella comunità di Brooklyn, nella quale l’ebraismo viene vissuto nella sua pienezza religiosa. È un ebraismo ortodosso, che distingue nettamente gli ebrei di Brooklyn dal resto degli ebrei viventi a New York. I precetti vengono seguiti con grande cura e soprattutto con grande partecipazione, e Aryeh cresce e procede nella sua carriera scolastica in seno alla sua famiglia, nella quale l’osservanza religiosa è per lui fonte di certezze e speranze. Un giorno il padre di Aryeh comunica di aver trovato un lavoro meglio retribuito, ma nella Florida del Sud, e che la famiglia si sarebbe lì trasferita. Aryeh è d’accordo, ma in lui, inconsapevolmente, gioca una doppia realtà: “[…] Il fatto che quella decisione monumentale non riuscisse a suscitarmi emozioni, suonava sconcertante, una bandiera rossa che indicava che qualcosa dentro di me non funzionava come avrebbe dovuto” (p. 17). Nella nuova dimensione la vita di Aryeh si trasforma radicalmente. Frequenta un liceo ebraico, dove viene a conoscenza di amici ebrei di consuetudini molto libere, assai lontane da quelle degli ebrei di Brooklyn.
Soprattutto la vicinanza con ragazze ebree dai costumi liberali è per lui fonte di emozioni fortissime, ma anche di difficoltà di approccio. Gli amici – Noah, Amir, Evan, Oliver – lo introducono in un mondo del tutto diverso, anzi opposto a quello in cui Aryeh era vissuto fino ai diciassette anni. Gite sul fiume, sport, discoteche, alcool, bikini a go-go, sesso, notti fuori di casa, fino all’assunzione di droga, assai diffusa fra i suoi nuovi amici ebrei, uomini e donne. Le relazioni si intrecciano in continuazione e il gruppo si affiata sempre di più in una esistenza comune aperta alle consuetudini dei goyim. A capo del gruppo è Evan, personaggio la cui personalità tende a sopravanzare quella degli amici, condizionandoli. Anche gli studi nel liceo ebraico seguono un andamento molto diverso da quello della comunità ebraica di Brooklyn. I rapporti con i docenti sono liberi e spesso irrispettosi, e per questo motivo Aryeh, con un soprassalto di rispetto per la propria formazione, si lega al rabbino Bloom, che è l’unico tra i docenti a consigliarlo rettamente nei momenti di grande difficoltà emotiva del ragazzo. La vita di Aryeh nella nuova realtà è descritta con grande attenzione e ricchezza di episodi particolarmente significativi da David Hopen, in un linguaggio che evidenzia le reazioni dei singoli personaggi.
Evan induce i suoi amici ad azioni sempre più negative, anche ai danni della scuola che frequentano, finché non viene chiamato a risponderne davanti al tribunale del liceo. Questo episodio porta Evan a superare ogni limite. Le pagine più drammatiche del romanzo iniziano proprio quando Evan si fa autore di un episodio gravissimo che coinvolge i suoi amici. Evan li convince a prendere un aereo e andare in una località lontana in cima a una montagna per fare un’esperienza di campeggio. Quando si accampano e mangiano i cibi preparati da Evan, quest’ultimo dice rivolgendosi a tutti: “‘Ci ho messo degli acidi, nei cupcake’” (p. 495). Gli amici sono sconvolti e qui nasce il dramma del gruppo. “‘Divina follia. È questo che voglio’” (p. 497). In preda agli acidi, i ragazzi vivono una realtà soprannaturale. Evan li porta in una foresta e poi in un frutteto. Soltanto Noah si stacca dagli altri, e i quattro – come si legge nel Talmud, quando i quattro saggi entrano nel pardes (frutteto) – fanno il bagno nell’acqua di una sorgente. Poi, una serie di esperienze terribili colpiscono i ragazzi: la cecità di Oliver, la follia di Amir, fino all’estremo: la morte di Noah, che si era riunito al gruppo, violando il numero dei quattro saggi del Talmud.
Il gruppo viene ritrovato dopo lunghe indagini, in condizioni spaventose. Ognuno torna nella propria famiglia. Noah è morto, Evan è allontanato da Aryeh in un colloquio durissimo: “‘Proprio non credi nella vita separata dall’intervento divino?’”, dice Evan. “‘No – risponde Aryeh – ma credo in una vita separata da ciò che hai fatto’” (p. 554). Aryeh torna a Brooklyn, nel suo ebraismo.