Professione fixer: la Russia li uccide Cronaca di Daniele Raineri
Testata: La Repubblica Data: 27 aprile 2023 Pagina: 5 Autore: Daniele Raineri Titolo: «Professione fixer ecco gli angeli custodi degli inviati di guerra»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/04/2023, a pag. 5, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Professione fixer ecco gli angeli custodi degli inviati di guerra".
Daniele Raineri
«Togliti la scritta PRESS dal giubbotto», dice il fixer ucraino quando si arriva in certi settori del fronte. «Invoglia i russi a sparare invece che trattenerli». Allora tocca strappare la striscia in velcro che annuncia la presenza della stampa dal giubbotto antiproiettile e metterla in tasca. I fixer servono a tutto e anche a questo: ad avvertire che talvolta una scritta non inibisce i tiratori russi, ma li eccita – forse per un meccanismo perverso, perché se colpisci un giornalista il giorno dopo i media parleranno di quello che hanno fatto. Quindi vale di più come bersaglio rispetto ad altri più comuni. E di sicuro non ci saranno commissioni d’inchiesta a Mosca per indagare su cosa è successo nel caos del conflitto ucraino. I fixer sono le persone che accompagnano i giornalisti sul campo per aiutarli a fare il loro lavoro. In certi luoghi ci sono fixer che fanno quel mestiere per tradizione familiare, perché è stato tramandato loro – per esempio in Israele e nei Territori palestinesi. Ma l’invasione dell’Ucraina è una guerra giovane, al massimo i fixer hanno quattordici mesi di esperienza. Se parli inglese e sei sveglio e hai una patente puoi tentare la tua strada con i giornalisti stranieri, soprattutto se il tuo mestiere è stato spazzato via, per adesso o per sempre, dalla guerra. C’è un fixer che può raccontare di quando faceva l’aiuto regista di un celebre reality show a base di modelle ucraine, una roba tutta luccicante e super glamour con luci a temperatura di fusione e intrighi – e lo fa mentre si attraversano paesaggi in rovina, infinite pianure piovose punteggiate da cumuli di calcinacci e carcasse di veicoli. C’è il fixer che ha mollato la sua azienda promettente perché la sede è in territorio controllato dai russi, e se l’anno scorso era gioviale e ottimista, oggi è cambiato di carattere, è attento a ogni segnale di pericolo, tende l’orecchio e studia da dovepuò arrivare la botta. È diventato taciturno perché ha visto troppe cose. C’è la ex studentessa che è bravissima perché invece che fare come i colleghi fixer maschi, che grugniscono al telefono un paio di richieste con qualche ufficio stampa militare, ha modi affabili e riesce a farsi aprire con gentilezza tutte le porte. Da qualche tempo c’è anche curiosità sugli articoli, sul risultatodel lavoro che si fa assieme, su cosa pensano i lettori. All’inizio dell’invasione non era così. I fixer ucraini sono aiutati dal carattere nazionale: se dicono che si parte alle sette, alle sette sono davanti alla macchina pronti a partire. Posso mettere nelle note spese il biglietto dell’autobus?, ti chiedono. Hanno fatto anche un paio di chat comuni a livello nazionale, con tutti i fixer d’Ucraina, comunicazioni che in genere sono detestate dai giornalisti perché si scambiano i contatti e riciclano le idee. «Ti posso trovare un tizio che è scappato da Lysychansk in bicicletta sotto il fuoco dei russi», propongono. Aspetta, ma non è la stessa cosa che ha fatto la Bbc ieri? Danno anche i voti ai reporter, quelli che si comportano bene e quelli che, secondo loro, si comportano male. Quando i giornalisti internazionali lo vengono a sapere sono sbigottiti: ma non dovremmo essere noi a giudicare loro? Ruoli che si ribaltano. L’Italia appare spesso nelle loro conversazioni, come luogo magico nel quale sarebbe molto preferibile stare, invece che nella guerra. C’è sempre un viaggio in Italia nel passato da ricordare, che adesso sembra ancora più desiderabile. Con i fixer si creano legami, si stabiliscono rapporti di fiducia, si finisce per intendersi con un’occhiata. Uno bravo risolve ogni genere di problemi. C’è un velo di ghiaccio sul parabrezza che non va via. C’è troppo fango sulla strada oggi. Quello è un aereo ucraino oppure è un aereo russo? Dove ho messo l’accredito? Mi riesci a trovare il telefono di un prete ortodosso? Di un direttore di ospedale? Del capo di Stato maggiore? Di Zelensky? Sono colpi di artiglieria in uscita oppure in entrata quelli che sentiamo? Perché il New York Times ha fatto questo pezzo e noi invece no? Ho finito le sigarette. La redazione non mi capisce. Non esiste una scuola per fixer, i più bravi spiccano e vanno avanti per selezione professionale, gli altri si perdono. C’è un grande non detto mentre si lavora con i fixer in Ucraina. Che un Paese che ha bisogno di fixer è un paese disgraziato e sarebbe molto meglio per tutti tornare presto alla normalità. Ma per ora c’è da fare, c’è da intervistare, c’è da andare a vedere. Rischiando tutti, i giornalisti e le loro “guide”.