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La Stampa Rassegna Stampa
21.04.2023 Foto dell'anno al reporter ucraino
Commento di Monica Perosino

Testata: La Stampa
Data: 21 aprile 2023
Pagina: 17
Autore: Monica Perosino
Titolo: «Gli ultimi minuti di vita di Iryna in uno scatto tutto l'orrore della guerra»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/04/2023, a pag.17 con il titolo "Gli ultimi minuti di vita di Iryna in uno scatto tutto l'orrore della guerra" la cronaca di Monica Perosino.

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Monica Perosino

World Press Photo 2023, vince Evgeniy Maloletka per lo scatto che immortala  l'assedio di Mariupol | Corriere.it
La foto dell'anno

Il cervello umano ha un superpotere, quello di difendersi con ogni mezzo possibile dall'inaccettabile, dall'orrore e dal dolore insostenibile. La negazione della realtà è uno dei suoi strumenti preferiti. Poco più di un anno fa, mentre il mondo sotto choc stava ancora tentando di dare un senso all'invasione dell'Ucraina, un bombardamento aereo russo devastava l'ospedale pediatrico di Mariupol. Il 9 marzo una fotografia, che ieri ha vinto il World Press Photo, mostrava una donna incinta su una barella trasportata da militari, poliziotti e un infermiere che camminano con difficoltà tra alberi decapitati e detriti. Ha la mano sinistra che si regge il ventre, calzini grigi, sangue tra le gambe, una ferita sulla coscia, lo sguardo spento. L'hanno sistemata su una brutta coperta che sembra un'anguria. Quando l'immagine ha iniziato a essere pubblicata sui giornali, postata sui social e diffusa sui siti Internet, della donna non si conosceva nemmeno il nome, ma già la negazione era in atto. Perché accogliere il pensiero - totalmente illogico, brutale e disumano - che un ospedale dove nascono i bambini sia un obiettivo militare era inaccettabile. Il mondo era come ipnotizzato dall'orrore, attratto dal baratro, e già aveva iniziato a non credere che su quella barella potesse esserci una madre vera, tanto che le teorie cospirazioniste si alternavano ai buoni sentimenti, che invece immaginavano un lieto fine per la mamma e il suo bambino. Dovevano essere in salvo, per forza. Invece no, non c'è un lieto fine. Iryna Kalinina è morta mezz'ora dopo aver dato alla luce il suo bambino senza vita. Si sarebbe chiamato Miron (da «pace», in russo). La forza dello scatto del fotografo ucraino Evgeniy Maloletka sta tutta qui, non può essere ignorata, deve essere guardata. E deve essere capita dall'inizio alla fine. Deve portare al prima e al dopo quel 9 marzo, deve parlare al cuore, ma soprattutto deve arrivare al cervello e perforare le sue difese. Perché su quella barella non c'era solo una donna incinta. Su quella barella è come se fosse precipitato tutto l'orrore del mondo - del mondo che è stato dall'inizio dei tempi e di quello che sarà. Su una brutta coperta di pile, come congelati in uno spazio e in un tempo, ci sono gli errori umani ripetuti ossessivamente per centinaia di anni. Solo se l'inganno della speranza di un lieto fine o di una realtà crudele ma entro limiti "umani", solo se questo inganno viene smascherato potremmo aspirare a un lieto fine. Questo fanno i simboli, questo fa la fotografia di Evgeniy Maloletka, non ci inganna con la speranza. Iryna è morta a 32 anni per le ferite causate dalle schegge. Dopo aver capito che Miron era nato morto, implorava i medici di non essere salvata. È toccato a un'anestesista adagiarle il corpo di suo figlio su un seno e chiuderli insieme in un sacco nero. L'immagine della mamma di Mariupol parla al cuore ma urla al cervello e lo costringe a vedere quello che fino ad allora, fino al 9 marzo, era un'ombra schiacciata in un angolo. Maloletka e il giornalista video Mystyslav Chernov, anche lui ucraino, sono arrivati a Mariupol all'inizio dell'invasione russa e del terribile assedio della città, e sono stati gli ultimi giornalisti a lasciare fortunosamente la città venti giorni dopo. Maloletka ha fatto luce su ciò che altrimenti sarebbe rimasto invisibile, ha dato corpo alle testimonianze che sin dai primi giorni della guerra si ostinavano a confutare le promesse del Cremlino, ripetute come un mantra: «Vengono colpiti solo obiettivi militari». L'immagine dell'ospedale di Mariupol è venuta in soccorso a noi, che in Ucraina eravamo armati solo di parole, così facili da ignorare, e ha costretto il mondo, o almeno gran parte di esso, a perdere la speranza e, così, ad avvicinarsi almeno un po' alla verità. Pochi giorni fa Maloletka ha detto in un'intervista che dal 9 marzo cerca disperatamente di dimenticare quella barella e quell'immagine, ma non può, non ci riesce, sa che rimarrà con lui per tutta la vita. Ma forse, l'unica speranza che vale la pena di coltivare è proprio questa, non dimenticare.

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