Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 21/04/2023, a pag. 1, con il titolo "Glucksmann, vent’anni di distrazione europea", il commento di David Carretta.
David Carretta
Raphaël Glucksmann
Strasburgo. La guerra della Russia contro l’Ucraina non è iniziata il 24 febbraio 2022 e nemmeno nel 2014 con l’annessione illegale della Crimea e il conflitto nel Donbas. Non è nemmeno una guerra limitata all’Ucraina: è il “grande scontro” lanciato dal regime di Valdimir Putin contro l’Europa, l’occidente e le democrazie, che i leader europei non hanno voluto vedere e comprendere per 20 anni, continuando “ad alimentare la bestia” fino a compromettere “la nostra stessa sicurezza e la nostra stessa sovranità”. Il rischio ora è fare troppo poco e troppo tardi per la resistenza ucraina in difesa dell’Europa e di replicare lo stesso errore fatto con Putin con la Cina di Xi Jinping. E’ questo il “J’accuse” lanciato da Raphaël Glucksmann in una conversazione con il Foglio attorno al suo nuovo libro La Grande Confrontation (Allary Editions). Il grande scontro “è cominciato con l’arrivo al potere di un clan che era mosso da un odio viscerale che abbiamo sottovalutato per più di 20 anni contro le nostre democrazie e contro il progetto europeo in quanto tale”, spiega Glucksmann: “Il cuore di questo progetto era la revisione dell’architettura di sicurezza che strutturava la pace e la stabilità in Europa” per “cancellare la sconfitta nella Guerra fredda e vendicarsi sull’occidente”.
Il libro di Glucksmann La Grande Confrontation è un atto d’accusa contro le élite europee che, nelle loro relazioni con Putin, “hanno fallito nella loro missione per cupidità o per ingenuità, per culto del profitto o per religione del comfort”. A 43 anni, Raphaël Glucksmann conosce bene il ventennio passato dall’ascesa di Putin. Oggi è deputato europeo del gruppo dei Socialisti e democratici. Al Parlamento europeo presiede la commissione speciale sulle Interferenze straniere, che da quasi tre anni indaga sulle guerre ibride di Russia, Cina e altri attori maligni. Ma prima Glucksmann ha visto un’altra parte di questa storia, che l’establishment politico e istituzionale europeo aveva rifiutato di vedere. O meglio lo aveva guardato come “una forma di amore immoderato per le montagne del Caucaso”, dice Glucksmann. E’ la battaglia che dal 2000 in poi il padre, il filosofo André Glucksmann, condusse con pochi altri in Europa (come il Partito radicale transnazionale di Marco Pannella) per denunciare la prima guerra di Putin: la seconda guerra di Cecenia. “Sono cresciuto vedendo mio padre cercare in ogni modo di allertare l’opinione pubblica europea, i dirigenti europei e i media europei sull’orrore della guerra di Cecenia, che era il fondamento del regime di Putin, e sul rischio per il resto dell’Europa di un regime che si fonda su questa guerra”, racconta Glucksmann. “Mi ricordo di quando a Parigi”, i realisti dell’establishment di politica estera parlavano di “Glucksmann e i suoi ceceni” come di “una barzelletta”.
Per Raphaël Glucksmann, oggi è “fondamentale tornare su quell’istante della nostra storia e chiedersi: chi era realista? Erano realiste le cancellerie che ci spiegavano che tutto questo non era così grave e ciò che contava alla fine era la grande partnership che stavano tessendo con Putin? Oppure erano realisti i sostenitori dei diritti dell’uomo che cercavano di spiegare che non si poteva fare una partnership affidabile con un regime che si costruisce su una guerra di terrore?”. Quel che aveva visto Glucksmann padre, e i leader europei non hanno voluto vedere, è che un regime fondato su un sistema di terrore “non sarà mai un partner affidabile, perché a termine saranno le democrazie liberali a essere prese di mira direttamente”. Il grande scontro che porta alla guerra contro l’Ucraina parte da lì. “E’ iniziato con la riconquista del potere totale in Russia contro gli oligarchi e i liberali” e “poi è continuato con guerre permanenti all’esterno”, spiega Glucksmann. “In Europa si è sempre voluto vedere queste guerre come fenomeni locali. Quando la Russia di Putin nel 2008 invade e smembra la Georgia, si è pensato che fosse un problema georgiano. Quando la Russia di Putin salva Bashar el Assad, rade al suolo Aleppo e Homs, si è pensato che fosse un problema siriano. Quando Putin annette la Crimea nel 2014, c’erano ancora voci maggioritarie nelle cerchie di potere in Europa che pensavano che fosse un problema tra la Russia e l’Ucraina. Ma non si è ascoltato e non si è letto ciò che dicevano i dirigenti russi, che dall’inizio hanno presentato tutte queste guerre teoricamente locali come degli scontri con l’occidente”. I leader europei non hanno nemmeno ascoltato Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007, quando “ci ha spiegato che si trattava di un conflitto escatologico, un conflitto ideologico, un conflitto di valori. Non si è ascoltato e compreso Putin, quando ci ha detto che l’esistenza stessa del progetto europeo era una minaccia per la sopravvivenza del suo regime e che il suo regime poteva funzionare solo attraverso questa conflittualità con noi”, dice Glucksmann. Perché? Perché gli europei sono diventati “adepti” della Fine della storia di Francis Fukuyama e hanno “decretato che non ci sarebbe stato più un avversario ideologico” per mettersi a commerciare e firmare contratti di fornitura di gas. Glucksmann accusa i dirigenti europei di avere “una responsabilità immensa” per la guerra in Ucraina. “C’è la responsabilità di aver nutrito la bestia con le nostre debolezze. Ogni passo indietro dei dirigenti europei è stata un invito all’aggressione per Putin”, dice Glucksmann. Sono stati abbandonati i ceceni e i liberali russi, sono stati ignorati gli avvertimenti di Anna Politkovskaya, si è sacrificata la Georgia di Mikheil Saakashvili e si è lasciata sola l’Ucraina dopo la Rivoluzione arancione. “Questo ha creato le condizioni di possibilità della guerra attuale. Perché Putin ha pensato di potersi conficcare in modo estremamente facile nelle linee di difesa europee”.
La responsabilità è dei dirigenti che “si sono lasciati corrompere e si sono messi al servizio del progetto russo come Gerhard Schroder”, che ha costruito la dipendenza energetica da Mosca, ma anche di “quelli come Emmanuel Macron e Angela Merkel che hanno acconsentito a tutte le derive e tutti i crimini di Putin”, dice Glucksmann. Far luce su quelle responsabilità è essenziale, perché altrimenti “riprodurremmo esattamente gli stessi errori non solo nei confronti della Russia di Putin, ma anche nei confronti di altri regimi ostili. Quando si guarda all’ultima visita di Macron in Cina, ci si rende conto che tutti gli errori che sono stati commessi con Mosca possono essere commessi di nuovo con Pechino”, spiega Glucksmann. Il 24 febbraio 2022, con l’aggressione all’Ucraina, qualcosa è cambiato, ma non a sufficienza. “C’è stato un risveglio e nei primi giorni lo abbiamo sentito”, dice Glucksmann. “Da Riga a Lisbona c’è stato un sentimento che ha attraversato le popolazioni europee: all’improvviso un attaccamento viscerale e vitale all’idea di essere europei, e dunque di essere minacciati dalla guerra di Putin”. Ma da allora i dirigenti europei sono rimasti “in una via di mezzo: non dormono più come prima, ma senza essere completamente svegli. Non hanno ancora deciso se aprire completamente gli occhi o meno”. L’unità europea è stata preservata, sono stati adottati dieci pacchetti di sanzioni, sono state fornite armi all’Ucraina. Ma “ci è voluto un tempo lunghissimo”, le sanzioni “sono ancora piene di buchi” e “il presidente Volodymyr Zelensky viene messo in una posizione di supplicante sulle armi. E’ come se aiutassimo l’Ucraina per fare piacere agli ucraini”, quando in realtà “aiutiamo l’Ucraina perché l’Ucraina è la nostra prima linea di difesa in uno scontro dentro a un conflitto in cui siamo stati implicati e che ci prende di mira”, dice Glucksmann. La vittoria dell’Ucraina e la sconfitta militare di Putin “sono fondamentali per il nostro interesse strategico”. Per questo occorre “rendere le nostre sanzioni molto più coerenti, ponendo fine a tutte le esenzioni”, e “fornire tutte le armi di cui l’Ucraina ha bisogno per vincere questa guerra, compresi aerei, compresi dei carri armati e missili”. Secondo Glucksmann, “il messaggio che va inviato a Mosca è che in ogni caso non la farete franca. Finché non ci sarà un ritiro delle forze armate russe dall’Ucraina, sulle frontiere del 1991, non la farete franca, perché saremo inflessibili”. Alla fine, i dirigenti europei devono “accettare di essere in uno scontro aperto con il regime di Putin: in una guerra ibrida”, dice Glucksmann. La linea rossa da non superare è lo scontro militare diretto con l’iper potenza nucleare. Ma è la Russia che ha “lanciato la guerra ibrida contro di noi” ed è necessario “rendere le nostre democrazie il più coerenti e potenti possibile”. L’autonomia strategica di Macron va bene, “perché non si può dipendere ogni quattro anni dagli elettori del Michigan per sapere se le frontiere europee saranno difese dagli Stati Uniti o meno”. Ma l’autonomia strategica “può raccogliere il consenso degli europei solo se è portata avanti in nome degli europei e a favore degli europei, non dalla Francia da sola che decide di intrecciare una relazione diretta con Mosca o con Pechino”, avverte Glucksmann. “L’immenso scetticismo in Europa sulle posizioni francesi – o tedesche – è estremamente giustificato”, perché “Parigi e Berlino per anni hanno sacrificato gli interessi vitali di Varsavia e Vilnius quando si trattava di discutere con Putin”. E lo stesso accade con la Cina. “Quando si arriva a Pechino e non si dice una parola su Taiwan o sui grandi problemi che ci contrappongono alla Cina, e nell’aereo di ritorno si fanno dichiarazioni che combaciano con le posizioni cinesi sul conflitto con gli Stati Uniti, si fa fare un passo indietro massiccio all’autonomia strategica europea”, dice Glucksmann. Per affrontare Russia o Cina, serve soprattutto “un cambio di mentalità” delle democrazie europee, che oggi “sono troppo deboli e friabili”. Secondo Glucksmann, le democrazie devono tornare a essere “un progetto ideologico” per cui “battersi”, altrimenti “alla fine si disgregheranno e crolleranno”. Glucksmann ricorda una delle profezie negli anni 1990 di uno dei filosofi del putinismo, Aleksandr Dugin: “Le democrazie occidentali avrebbero perso il giorno del loro trionfo, perché si sarebbero considerate tanto naturali come l’aria che si respira”. Effettivamente, in Europa “abbiamo iniziato a pensare che la democrazie e le sue istituzioni fossero acquisite, che fossero un fatto naturale. Ma non c’è niente di naturale. La democrazia è una costruzione storica, politica e ideologica e bisogna ritrovare la linfa che permette di irrigare la democrazia. Altrimenti il legno diventa morto, friabile e si rompe. Abbiamo degli avversari che vogliono rompere questo legno. Dobbiamo ridargli vigore e forza”, dice Glucksmann.
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