Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/04/2023 a pag.11 con il titolo "Bakhmut, il martirio dei soldati al fronte: "I compagni cadono, ma la città resiste" " l'analisi di Francesco Semprini, Niccolò Celesti.
Bakhmut
Il 1° marzo 2023 l'accesso a Bakhmut viene interdetto ai giornalisti. Non ci è permesso di vedere coi nostri occhi, dopo ripetute missioni sul posto, cosa succede all'interno della città fortezza. Da subito le notizie delle nostre fonti interne iniziano a raccontare di una battaglia furente con centinaia di morti tra gli invasori russi e una strenua resistenza ucraina. Da quel momento ci affidiamo a loro, attraverso i nostri cellulari, tenendo sempre presente il rischio di essere intercettati, e quello di ottenere informazioni manipolate. È così che abbiamo ricostruito gli ultimi 45 giorni della città martire.
2 marzo. Tre ragazzi del battaglione 206 muoiono in trincea sul fronte Nord di Bakhmut, non si conoscono le cause, ma le linee di difesa tengono bene fuori dalla città.
3 marzo. Entriamo a Chasiv Yar, la cittadina è integra ma si iniziano a vedere spostamenti di carri e blindati tra le strade verso il fronte. Al centro di stabilizzazione arrivano decine di feriti e morti ma nelle parole di medici e soldati c'è ancora la speranza che Bakhmut tenga.
7 marzo. Durante i funerali dei militari caduti, i commilitoni ci spiegano come le notizie diffuse da Kiev rischino di essere troppo ottimistiche. «I soldati morti il 2 marzo sono deceduti per mancanza di munizioni. Stanno iniziando i primi malumori tra i soldati e i comandanti delle unità».
13 marzo. Ci spostiamo più a Nord verso Lyman. Qui la battaglia non è tra palazzi e zone industriali, qui si combatte su campi e colline adiacenti, tra trincea e trincea, i soldati si vedono nei rispettivi mirini e gli ucraini resistono agli attacchi di fanteria portati avanti dalle truppe russe in campo aperto.
18 marzo. L'aggiornamento delle mappe certifica un netto e costante avanzamento delle truppe russe intorno alle città di Bakhmut e Avdiivka. A Chasiv Jar la situazione cambia, si iniziano a insediare i battaglioni e compaiono pezzi di artiglieria. Si sente la risposta dei russi che mirano a palazzi e strade della cittadina. Kiev continua a sostenere che il fronte tiene e che i russi hanno ingenti vittime tra i loro ranghi. Ci confermano che «le condizioni di combattimento all'interno della città sono quasi a vista». Tra un palazzo e l'altro, a volte, la distanza è tale che i due eserciti si provocano a voce.
23 marzo. Un manipolo di valorosi subisce alcune perdite nel tentativo di conquistare una posizione, le perdite ammontano a tre morti e un ferito in coma.
25 marzo. Il riposizionamento delle truppe ucraine nelle retrovie di Bakhmut è ormai in atto da giorni, l'artiglieria è arretrata fino alle campagne di Kostantinivka, i missili russi piovono sulle città dietro a Bakhmut, da Sloviansk a Kramatorsk sino a Druzhkivka.
31 marzo. L'offensiva russa riprende nelle grandi città, nove missili arrivano su Kharkiv.
1 aprile. Si iniziano a vedere sempre di più soldati stanchi, si sentono discorsi confusi, c'è il divieto assoluto di far filtrare notizie sulle perdite ucraine. Eppure da Chasiv Yar la situazione è chiara, le retrovie e le basi sono ormai fuori da Bakhmut dove resistono asserragliati solo alcuni battaglioni. Si cerca di reggere il fronte e infliggere più vittime possibile fra i russi mentre si parla di controffensiva.
3 aprile. «È bello sapere che il nostro sacrificio non sia vano, mi aiuta sapere che ci sono persone come voi che ci sostengono, a volte quando siamo in crisi e stanchi la rabbia monta e ci chiediamo perché si faccia tutto questo, ma quando leggo questi messaggi torna la forza».
6 aprile . «Temo che inizino ad esserci seri dubbi sulla tenuta della città, abbiamo notizie di unità composte da 15 uomini che rimangono in cinque dopo 2 o 3 giorni di battaglia, non c'è traccia dei mezzi blindati, delle nuove armi e delle munizioni che dovrebbero ormai essere qui da settimane, dopo gli annunci della politica internazionale». 7 aprile. Il commilitone in coma si è svegliato: «Non parla, ma ci stringe la mano. La situazione è brutta, ci sono morti ovunque, mai vista una cosa così, ne abbiamo preso uno, era fatto di qualcosa, non capiva un c..., si sta compiendo una mattanza, moltissimi morti e feriti da entrambe le parti».
8 aprile. Riusciamo a entrare ad Adviivka con un gruppo di volontari, la cittadina è talmente circondata che non si può sapere l'esatta posizione dei russi all'interno. Si sentono le mitragliatrici in moto perpetuo da un viale sul fronte Ovest della città. Poche ore dopo proviamo a rientrare a Chasiv Yar, anche qui cadono colpi vicini, dobbiamo rinunciare, torniamo verso Kostantinivka».
9 aprile. L'artiglieria ucraina lavora in direzione Bakhmut per dare supporto alla fanteria sul campo, ma sembra che nella città i bombardamenti dei Mig di Mosca portino il combattimento un'altra volta a vantaggio degli invasori. Inizia a circolare l'idea che la fanteria ucraina sia utilizzata per rallentare i russi in attesa di armi e condizioni climatiche favorevoli.
10 aprile. «Il commilitone in coma è morto».
12 aprile. «Non si capisce, stanno morendo molte persone, dalla loro parte molte di più, non gliene frega niente però, perché mandano gente al macello, il problema è che poi dobbiamo andare noi a ripulire, non potrebbero farlo con gli aerei? Non siamo immortali».
13 aprile. «Il tributo di sangue dei russi è enorme, molti vorrebbero arrendersi quando ci vedono ma non possono, Wagner manda avanti i detenuti, elimini i primi, i secondi, i terzi e quando sei stremato e a corto di munizioni mandano i professionisti, e succede quello che succede».
14 aprile. Abbiamo combattuto tre giorni senza dormire. Non è un'operazione, anche il soldato migliore dopo tre giorni è sfinito. Cosa si vuole ottenere? Perché ostinarsi a mandare gente in un posto che è praticamente perduto? Non ne capisco il senso».
15 aprile. «Non so cosa accadrà. Sta degenerando tutto, anche noi siamo fiaccati, non riusciamo a capire cosa significhi andare a ripulire cinquanta metri di una strada che non serve a nulla. Manda due caccia e amen. Siamo stanchi, c'è bisogno di tempo dopo tanti mesi combattuti a questi livelli. Bisogna avere segnali chiari per farci capire che il nostro sacrificio serva. Ora scusami, devo tornare a Bakhmut».
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