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La Repubblica Rassegna Stampa
16.04.2023 L'arte di pace 1948 dall'Italia a Israele
Analisi di Dario Pappalardo

Testata: La Repubblica
Data: 16 aprile 2023
Pagina: 26
Autore: Dario Pappalardo
Titolo: «L’arte di pace che torna da Tel Aviv»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/04/2023, a pag. 26, con il titolo "L’arte di pace che torna da Tel Aviv", l'analisi di Dario Pappalardo.

Roma 1948. Arte italiana verso Israele. Italian Art Towards Israel. Ediz.  bilingue - Davide Spagnoletto - Giorgia Calò - - Libro - Maretti Editore -  | IBS

Un pieghevole ingiallito dal tempo. Un titolo: “Mostra d’Arte pro Nuovo Stato d’Israele”. Due date: 15-25 giugno 1948. Emerge da qui, da questi pochi dati, una storia dimenticata. Nella Roma liberata da una manciata di anni, mentre la scena culturale è in pieno fermento e ricostruzione proprio come gli edifici ridotti in macerie, un gruppo di artisti decide di organizzare in poche settimane un evento dedicato alla nazione che sta nascendo, dopo la Shoah. Saranno settanta, alla fine, alcuni nomi si aggiungeranno a penna all’ultimo minuto. Ma i promotori si chiamano Afro Basaldella, Giuseppe Capogrossi, Renato Guttuso, Carlo Levi, Mario Mafai, Toti Scialoja. Vogliono lanciare insieme un segnale di pace e bellezza: arrivare con l’arte dove la politica e la diplomazia ancora non ci sono. Si allestisce così l’esposizione ora ricordata da quel pieghevole ingiallito. Il comitato d’onore che firma l’iniziativa include, tra gli altri, Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Carlo Giulio Argan, Massimo Bontempelli, Alberto Moravia e Ignazio Silone. A Palazzo Torlonia, l’allora Galleria d’Arte Antica, vanno in scena astrattisti e figurativi, peruna volta uniti dallo scopo di inviare un messaggio di amicizia allo Stato d’Israele, dichiarato indipendente il mese prima. «Gli artisti romani per atto di solidarietà e umana simpatia verso il popolo d’Israele che combatte per la propria esistenza offrono queste opere a beneficio del fondo internazionale pro Israele», si legge.

Museo Ebraico di Roma

Perché la mostra da sola non basta: gli artisti hanno stabilito che, ad allestimento concluso, i dipinti saranno inviati a Tel Aviv per arricchire il museo che esiste già dal 1932. E, in effetti, i quadri vengono imballati dopo un anno. Il piroscafo Este salpa dal porto di Napoli il 30 agosto 1949: custodisce sette casse che raccolgono settantacinque oggetti, inclusi disegni e sculture. Il mare porta via questa storia dall’Italia. Ora, però, si compie il viaggio di ritorno. Un’altra mostra, Roma 1948, a cura di Davide Spagnoletto e Giorgia Calò, al Museo Ebraico di Roma (dal 27 aprile al 10 ottobre, catalogo Maretti) racconterà al pubblico questo capitolo di storia dell’arte e solidarietà sconosciuto. Da Tel Aviv una ventina di opere tornano a Roma dopo settantacinque anni. Come la Natura morta con fiasco e martello di Guttuso o la Ballerina in riposo di Capogrossi, tanto per citare due capolavori scomparsi dai cataloghi. «Non venivano esposte dal 1948. Si tratta praticamente di inediti: circoscrivono un periodo preciso della ricerca artistica. — spiega il curatore Spagnoletto, che ha ricostruito attraverso i documenti come nacque quella mostra — Tutta questa vicenda èuna scoperta. Se ne sapeva pochissimo. C’erano poche tracce: il titolo, il luogo. Si trattava di unire i fili, di riportare alla luce una storia e un momento irripetibili in cui tutti hanno messo da parte le loro divergenze per unirsi in un gesto di solidarietà e di scambio culturale. L’idea di riportare a galla tutto questo è stata della presidente del Museo Ebraico di Roma Alessandra Di Castro e della presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, a 75 anni dalla nascita dello Stato ebraico, ma anche a 90 dalla fondazione del Museo di Tel Aviv». «Questa storia è stata una sorpresa incredibile. Noi stessi la ignoravamo — ribatte Tania Coen, dal 2019 direttrice del Tel Aviv Museum of Art — Il museo, il primo in Israele, è nato primadello Stato per volontà del sindaco di Tel Aviv Meir Dizengoff, che destinò due piani della sua casa perché diventassero la prima sede del museo. Con il tempo la collezione è stata alimentata da donazioni in arrivo da tutta Europa. Qui, il 14 maggio 1948, Ben Gurion lesse la dichiarazione d’indipendenza dello Stato d’Israele. È particolarmente commovente che, in uno scenario difficile come quello che l’Italia viveva dopo la Seconda guerra mondiale, un gruppo di artisti italiani — che credeva fortemente nell’importanza dell’arte nella società — abbia pensato di donare le proprie opere a questo nuovo Paese. Oggi alcune di queste tornano a Roma e saranno prestate a lungo termine al Museo Ebraico di Roma». Ecco allora la Natura morta di Carlo Levi, il Paesaggio di Pietro Cascella, la Composizione di Afro e quella di Carla Accardi che con Antonio Sanfilippo e Pietro Consagra — anche loro presenti in mostra — aveva appena sottoscritto il manifesto del gruppo Forma. Roma 1948 è una fotografia della scena artistica del tempo. Nel 1948, si inaugura nella capitale la prima Quadriennale dopo il fascismo e, a Venezia, torna la Biennale d’Arte, ferma per sei anni. «Anche quello è un evento cruciale — racconta Giorgia Calò — si apre il primo maggio, due settimane prima della proclamazione dello Stato d’Israele. In questo caso, l’ingegnere italiano Angelo Fano, antifascista veneziano, trasferitosi nella Palestina mandataria alla vigilia della Seconda guerra mondiale, gioca un ruolo cruciale. Intercede presso il segretario della Biennale, Rodolfo Pallucchini, perché gli artisti residenti in quella che non è ancora una nazione possano esporre a Venezia. Lo faranno: accadrà nel Padiglione della Jugoslavia, che nel 1948 non partecipa alla mostra internazionale. Tra le opere, ci sono anche quelle di un altro italiano che fa da ponte tra Italia e Israele: Renzo Avigdor Luisada, che lascia il Paese dopo le leggi razziali e diventa cittadino di Tel Aviv. Sarà lui a mediare perché la donazione degli artisti in mostra a Palazzo Torlonia arrivi lì». «Quella donazione si inseriva in un’ottica di speranza, fratellanza, democrazia e libertà, valori che oggi sono messi in discussione», conclude la direttrice Coen. L’arte, anche quella volta, arrivò per prima.

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