Testata: La Stampa Data: 12 aprile 2023 Pagina: 12 Autore: Monica Perosino Titolo: «Orban, affari russi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/04/2023, a pag.12 con il titolo "Orban, affari russi" la cronaca di Monica Perosino.
Monica Perosino
Victor Orban
Quel sorriso del ministro degli Esteri ungherese mentre firma, di fronte a una bandierina russa da tavolo, i nuovi accordi energetici tra Budapest e Mosca, è la rappresentazione plastica dello scisma dell'Ungheria dal resto dell'Unione europea. Il modello economico del premier magiaro Orban, costruito attorno all'ambivalenza geopolitica, ha raggiunto un nuovo livello con il viaggio a Mosca del fedelissimo ministro Peter Szijjarto che ieri ha incontrato il vicepremier russo Alexander Novak e l'ad di Rosatom, Alexey Likhachev, ed è ritornato a casa con un pacchetto di accordi che aumentano la dipendenza dell'Ungheria dalle forniture russe di petrolio, gas e nucleare. Proprio mentre i partner Ue stanno facendo di tutto per liberarsene. Mentre in patria il portavoce di Orban ribadiva a muso duro che le contestatissime leggi anti Lgbtq+ non solo non saranno emendate, ma anzi, implementate in autunno, Szijjarto faceva ritorno a Budapest con un pacco di contratti che assicurano un accordo per espandere i flussi di gas russo all'Ungheria e finanziamenti per la centrale nucleare di Paks. Orban, con la sua solita strategia del veto usato come ricatto, aveva strappato all'Ue l'esenzione dal blocco all'import del gas che ora, «per interessi nazionali», potrà avere avvenire anche «con un regime di pagamento preferenziale». «Indipendentemente dalla guerra e dalle sanzioni, la situazione è cambiata così tanto che è necessario ritoccare il quadro contrattuale», ha detto il ministro Szijjarto. «Una volta che le modifiche entreranno in vigore, saranno sottoposte alla Commissione europea per l'approvazione», ma «speriamo non voglia mettere a repentaglio la sicurezza delle forniture energetiche dell'Ungheria», ha detto, sottolineando l'importanza dell'espansione di Paks (supervisionata da Rosatom) per mantenere «prezzi accessibili dell'elettricità e garantire un approvvigionamento energetico sostenibile» in Ungheria. Il ministro, inoltre, ha spiegato che la società energetica statale russa Gazprom consentirà all'Ungheria di importare quantità di gas superiori a quanto concordato ad un prezzo di 150 euro al metro cubo, pagandolo in differita se i prezzi di mercato salissero al di sopra di questo livello. La strategia di Orban, che sta bene attento a non parlare di uscire dalla Ue, né tantomeno dalla Nato, pare una beffa: ha minacciato di bloccare le sanzioni alla Russia e, anche dopo averle votate (in cambio di un'esenzione parziale), ha continuato a criticarle; è riluttante all'invio di armi all'Ucraina, all'addestramento dei suoi soldati e i troll governativi non fanno che alimentare l'idea che Kyiv sia responsabile della guerra. Il "referendum" organizzato a gennaio per sapere cosa pensassero gli ungheresi delle «Sanzioni di Bruxelles» (così recitava il quesito) è finito con il 17% di partecipazione e il 97,6% di no «alle sanzioni dei leader di Bruxelles». Orban in direzione ostinata e contraria alla Ue. Date le premesse, il sospetto che l'Ungheria sia il cavallo di Troia di Putin in Europa non sembra così peregrino. Tuttavia sarebbe un errore pensare che il premier e gli ungheresi siano filorussi. Nella memoria collettiva del Paese è ancora fresca la repressione sovietica della rivolta del 1956, e lo stesso premier è nato già fervente anti comunista. Ma con Orban che da anni presenta in patria il progressismo occidentale come pericoloso, non dovrebbe sorprendere che i valori più tradizionali della Russia inizino a esercitare un certo fascino se paragonati a quelli di un'Europa che continua a bacchettare gli ungheresi sullo Stato di diritto. Inoltre, i rapporti tra Ucraina e Ungheria sono condizionati da un intreccio di conflittualità storiche, sfruttate con maestria dal premier che ha calcato la mano (soprattutto sulle minoranze in Transcarpazia)per giustificare la sua vicinanza con Mosca dopo l'invasione dell'Ucraina. Sarà proprio Bruxelles a dover decidere se il pragmatismo della «democrazia illiberale» di Orban, alla disperata ricerca di fondi e aiuti che diano fiato all'economia in crisi, si sia spinto troppo oltre il confini della propaganda.
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