Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/04/2023, a pag.17 con il titolo "Israele abbraccia la famiglia siamo tutti sotto attacco e capiamo il vostro dolore", l'intervista di Francesca Sforza.
A destra: Alon Bar
Francesca Sforza
«L'assassinio di Alessandro Parini in un attentato terroristico a Tel Aviv mi ha scioccato - dice l'ambasciatore israeliano a Roma Alon Bar -. Le stesse organizzazioni terroristiche che hanno avviato violente provocazioni sul Monte del Tempio, e subito dopo il lancio di missili contro gli israeliani da Gaza, Libano e Siria sulla base dell'intenzione israeliana di violare lo status quo, cosa del tutto falsa, hanno incoraggiato e incitato i giovani palestinesi a compiere attentati terroristici nella Valle del Giordano e sul lungomare di Tel Aviv. In Israele non dimenticheremo Alessandro - aggiunge l'ambasciatore - abbracciamo la sua famiglia e condividiamo il suo dolore».
Ambasciatore Bar, dopo alcuni commenti critici sulla politica israeliana nella Cisgiordania occupata, Israele ha fatto sapere al rappresentante della politica estera dell'Ue Joseph Borrell, che non è il benvenuto. Le relazioni tra il governo israeliano e i suoi più stretti alleati si stanno deteriorando? «Israele è abituata da anni a sentire critiche sulla questione palestinese, non solo da Borrell, ma anche da altri rappresentanti dell'Unione Europea. Il punto è un altro, ed è all'origine della posizione di Israele nei confronti di Borrell: noi crediamo che Bruxelles, ostinandosi a mettere al centro del dibattito con Israele la questione palestinese, sacrifichi spesso gli interessi europei. È una critica che, nel momento in cui viene anteposta a qualsiasi altra discussione, rischia di compromettere il rapporto con Israele, là dove si potrebbe semplicemente accettare che ci sono cose su cui andiamo d'accordo e altre su cui invece siamo in disaccordo. La riduzione dei rapporti tra Israele e Unione Europea alla sola questione palestinese è un grosso errore di valutazione, mentre anche la questione palestinese dovrebbe esser un modo per tenere in esercizio le nostre relazioni comuni».
Ha avuto la percezione che in Italia non sia così? «L'Italia è parte dell'Europa e su queste cose condivide la linea europea, il problema è il peso che si dà alla questione palestinese nell'ottica complessiva delle nostre relazioni. Se si pensa che questa sia la cosa più importante, nessuno ci guadagna, se invece si riconosce che è solo una tra le questioni che ci coinvolgono, sarà possibile sviluppare un diverso approccio nelle nostre relazioni e anche eventualmente fare qualcosa in più per i palestinesi. Perché tra l'altro le divergenze tra Israele e l'Europa su questo non aiutano affatto i palestinesi».
Dopo l'ultimo accordo tra Iran e Arabia Saudita un nuovo riavvicinamento con l'Iran è possibile? «Sono scettico sul fatto che questo cambierà il comportamento dell'Iran. Per l'Arabia Saudita la preoccupazione più grande sono gli attacchi dei droni da parte Iran e la situazione in Yemen. Alla fine se l'Iran arresta l'arricchimento dell'uranio all'84% e dimostra di cooperare con l'Aiea, se smette di utilizzare droni e missili nella regione, di vendere armi alla Russia e di opprimere la sua stessa popolazione, le cose possono cambiare. Non mi sembra però che l'Iran sia ancora pronto. Credo che le pressioni internazionali, anche di tipo economico, possano contribuire a indurre l'Iran a un cambiamento.
Quanto crede, seriamente, in un approccio diplomatico? «Credo nel dialogo diplomatico, ma credo che funzioni solo nella misura in cui l'Iran abbia ben chiaro che l'alternativa alla diplomazia è solo la guerra. Noi scegliamo l'opzione diplomatica, ma l'Iran deve sapere che se la rifiutasse l'altra opzione sarebbe peggiore, soprattutto per loro».
In un articolo del Nyt Thomas Friedman ha paragonato Nethanyahu a Putin: due giocatori di scacchi che con le loro mosse hanno isolato i loro paesi. Cosa risponde? «Netanyahu è responsabile dell'espansione delle relazioni con molti Paesi della nostra regione, come gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco, il Bahrein e il Sudan. Negli ultimi mesi abbiamo tenuto due incontri tra giordani, palestinesi, egiziani e israeliani ad Aqaba e proprio ultimamente a Sharm El Sheikh, in Egitto. Netanyahu ha recentemente visitato Parigi, Roma e Berlino; poi è stato a Londra e ha anche dialogato con il presidente americano Joe Biden. Credo che non si possa parlare di "isolamento" in questa situazione».
Le pubbliche opinioni però la pensano diversamente... «Sono consapevole che ci sono parti dell'opinione pubblica critiche nei confronti di Israele, ma sono sicuro che ci sono anche critiche nei confronti di altri Paesi con cui ci sono legami: il Presidente del Consiglio Meloni ha visitato l'Algeria, la Libia e gli Emirati Arabi Uniti, il Ministro degli Esteri Tajani è stato in Turchia e in Egitto. Non sono sicuro che nell'opinione pubblica italiana ci siano più critiche verso Israele che verso alcuni di questi Paesi. Pertanto, il riferimento all' "isolamento" in questo contesto è insussistente».
L'impressione è che il dibattito sulla giustizia coinvolga la natura della società israeliana. Qualcosa sta cambiando? «Sì, penso che qualcosa stia cambiando. Israele è un Paese che ha 75 anni e da allora è in continua evoluzione: da sempre discute sulla sua cultura politica e sulla sua identità. Citando il grande scrittore israeliano Amos Oz che si riferiva all'eredità intellettuale ebraica e israeliana del dibattito, si va a Roma a vedere il Colosseo, a Parigi la Tour Eiffel, in Egitto le Piramidi e a Gerusalemme per discutere: fa parte del fascino di Israele».
Si sente spesso ripetere che Israele è un baluardo di democrazia in Medio Oriente. Oggi molti credono che non sia più così, che ne pensa? «Il dibattito che esiste oggi in Israele fa parte della divergenza di opinioni su come sarà condotta la democrazia israeliana, ma sono convinto che alla fine il carattere democratico e la partnership morale di Israele con l'Occidente saranno preservati».
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