Gli errori di Netanyahu Commento di Stefano Stefanini
Testata: La Stampa Data: 09 aprile 2023 Pagina: 23 Autore: Stefano Stefanini Titolo: «La tripla crisi che mina Israele»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/04/2023, a pag. 23, con il titolo "La tripla crisi che mina Israele", il commento di Stefano Stefanini.
Stefano Stefanini
Benjamin Netanyahu
Israele affronta la tempesta perfetta. Largamente autoinflitta. Il governo di estrema intolleranza, che Benjamin Netanyahu ha messo insieme per tornare al potere, ne ha creato le condizioni. Questa la differenza rispetto al passato. I nemici di Israele, che non mancano, ne approfittano. Per esistere e prosperare, lo Stato di Israele ha imparato a convivere col rischio. Dalla proclamazione, nel 1948, il neo-Stato indipendente è cresciuto in un campo minato. Per non saltare per aria ha dovuto proteggersi dagli scoppi quando avvenivano, disinnescare le mine quando possibile e trovare i passaggi per attraversare il territorio ostile che lo circondava. Ha fatto guerra e pace e tenuto a bada il terrorismo. Tutto questo preservando la democrazia su cui è stato fondato. Difesa e sicurezza fanno parte della quotidianità israeliana, ma senza minimizzazione dei rischi non sarebbero bastate a fare di Israele una storia di successo politico, economico e di alta tecnologia. L'attuale governo ha capovolto il paradigma. Per un misto di ideologia e di opportunismo, gioca d'azzardo ignorando i campanelli d'allarme. Ha inasprito ed esasperato l'irrisolto problema palestinese, e in parallelo dei rapporti interni con la minoranza arabo-israeliana; così facendo si è alienato le simpatie dei Paesi arabi con i quali si stava costruendo un'architettura strategica regionale; ha spaccato la società israeliana con una proposta di riforma illiberale che incrinerebbe una delle fondamenta della democrazia, la divisione dei poteri. I Territori occupati – la "Palestina" – sono l'epicentro delle tensioni. I palestinesi sono stanchi di aspettare il secondo Stato che da trent'anni (dagli accordi di Oslo, 13 settembre 1993) non arriva. Il processo di pace è ormai storia, per responsabilità in gran parte loro, senza però soluzione alternativa ai due Stati che in teoria rimane l'obiettivo. Intanto, lo status quo è un compromesso di convenienza: lascia una vecchia e stanca Autorità palestinese al potere a Ramallah, senza elezioni, in cambio della collaborazione nella sicurezza, essenziale per gli israeliani. Queta (relativamente) non movere. Il nuovo governo israeliano ha sconvolto il fragile equilibrio. Punta ad un ulteriore espansione delle colonie e non nasconde velleità di annessione. I palestinesi, specie le giovani generazioni, cercano altre soluzioni, anche violente. La protesta contagia la minoranza arabo-israeliana che vede Ministri di governo apertamente ostili. La contesa spianata di Al-Aqsa si infiamma. La polizia e le forze armate israeliane rispondono con durezza. Vittime da entrambe le parti. Hamas da Gaza e Hezbollah da Libano meridionale ci vanno a nozze con gli immancabili razzi e, peggio, ispirando il terrorismo "fai da te", come l'attentato di cui è rimasto vittima a Tel Aviv, città cosmopolita e aperta, Alessandro Parini. Dai razzi Israele sa proteggersi, contro un'auto omicida non c'è difesa. Per Netanyahu è ora difficile spezzare il ciclo di violenza. Tolleranza zero sul terrorismo è fuori discussione, e non solo in Israele. Il problema di fondo però è il connotato fortemente antiarabo e pan-ebraico di molti suoi alleati di governo. La loro politica antipalestinese gli sta già creando difficoltà con i Paesi del Golfo, specie con l'Arabia Saudita che invece sta ricucendo con l'Iran. Questo metterebbe in forse l'intera strategia degli Accordi di Abramo che puntavano anche al contenimento di Teheran. Ma la sfida principale è interna: la società israeliana è in rivolta, pacifica ma vibrante, contro la riforma giudiziaria voluta da Netanyahu – anche per proteggere sé stesso. Sono scesi in piazza militari, imprenditori e funzionari dello Stato. Ne va della democrazia israeliana. La riforma è per il momento ‘sospesa" ma non ritirata. Se si divide nel momento del bisogno, Israele entra in una vulnerabilità senza precedenti. Hamas e Hezbollah non aspettano altro.
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