Una impressionante serie di incidenti diplomatici che servono solo a irritare amici e alleati
Editoriale del Jerusalem Post
(da Israele.net)
Benjamin Netanyahu con Giorgia Meloni
Anche lasciando da parte per un momento il pandemonio scatenato dalla proposta di riforma giudiziaria, comunque i partner della coalizione di governo del primo ministro Benjamin Netanyahu sembrano fare a gara su chi riesce meglio ad alienare gli alleati di Israele. Si consideri cosa è successo solo la scorsa settimana. L’altra domenica il ministro delle finanze Bezalel Smotrich – già famoso per la frase sul villaggio palestinese di Huwara che “dovrebbe essere cancellato” – ha tenuto un discorso in Francia durante il quale ha affermato che non esiste il popolo palestinese. A peggiorare ulteriormente un’uscita assai poco diplomatica, ha fatto quel discorso da un podio adornato con la mappa di un immaginario Israele che includeva anche la Giordania, oltre a tutti i territori rivendicati dai palestinesi. Le sue dichiarazioni non hanno comportato nessun vantaggio per Israele, mentre le ripercussioni diplomatiche sono state immediate. I giordani hanno convocato l’ambasciatore israeliano per protestare, gli Stati Uniti hanno definito le sue parole “pericolose”, gli Emirati Arabi Uniti (i principali partner negli storici Accordi di Abramo ndr) le hanno definite una “istigazione” e i sauditi – con i quali Israele spera di avviare rapporti ufficiali – le hanno qualificate come “razziste.” Martedì la Knesset ha approvato l’abrogazione della legge sul disimpegno del 2005 che aveva decretato lo sgombero di quattro insediamenti nella Samaria settentrionale (contemporaneamente allo sgombero di tutti gli insediamenti nella striscia di Gaza ndr). Gli Stati Uniti si sono messi alla testa delle proteste internazionali convocando a loro volta l’ambasciatore di Israele, cosa che non avveniva dal 2010. Netanyahu si è trovato costretto a rilasciare una dichiarazione chiarificatrice in cui afferma che Israele non ha alcuna intenzione immediata di istituire nuovi insediamenti in quelle aree. Mercoledì i mass-media di destra e cristiani negli Stati Uniti hanno rilanciato la notizia di una proposta di legge, avanzata una settimana prima dai parlamentari di Ebraismo Unito della Torà Moshe Gafni e Yakov Asher, volta a rendere più rigide le leggi contro le attività di proselitismo nel paese. Gli evangelici in America, forse i più forti sostenitori di Israele oggi nel mondo, erano molto agitati. Secondo il conduttore di Newsmax TV, il disegno di legge “renderebbe un reato parlare alla gente di Gesù in Israele”. L’ex senatore e governatore del Kansas Sam Brownback, un grande sostenitore dello stato ebraico, ha affermato: “Limitare la libertà religiosa è contro la Carta dei diritti umani delle Nazioni Unite, che Israele ha sottoscritto come quasi tutto il resto del mondo. Si ha il diritto di praticare la propria fede e di cambiare la propria fede, e penso che questo [provvedimento] sarebbe davvero pericoloso per Israele, che è stato finora un faro come società aperta in quella regione”. Ancora una volta Netanyahu si è trovato costretto a rilasciare una dichiarazione chiarificatrice, questa volta affermando che “non verrà promossa nessuna legge contro la comunità cristiana”. Sempre mercoledì, senza una ragione apparente la ministra dei trasporti Miri Regev ha sentito il bisogno di insolentire gli Emirati Arabi Uniti dicendo in una conferenza: “Sono stata a Dubai: non che ci tornerò, non mi è piaciuto quel posto”. Questa volta il chiarimento è arrivato dal ministro degli esteri Eli Cohen, che era in visita a Varsavia. “Amo Dubai, così come un milione di israeliani che hanno visitato gli Emirati Arabi Uniti l’anno scorso” ha postato in una serie di tweet in ebraico, inglese e arabo, insieme a una foto di se stesso che stringe la mano al presidente degli Emirati, il principe ereditario Mohammed bin Zayed al-Nayan. Questo elenco di uscite che servono solo ad alienare gli alleati è decisamente preoccupante. Ci restituisce l’immagine di un governo i cui ministri o non si curano o non si rendono conto delle ripercussioni e delle conseguenze delle loro parole e azioni: e non è chiaro cosa sia peggio. È preoccupante perché dà l’impressione che nessuno abbia il controllo, che ogni ministro o parlamentare della coalizione possa dire quello che gli passa per la mente, che non vi sia disciplina o autocontrollo. Non è così che si gestisce un governo o un paese. Dopo le elezioni di novembre, quando si era diffusa dappertutto molta preoccupazione per ciò che l’avvento al potere di una coalizione di partiti di destra, estrema destra e ultra-religiosi avrebbe significato per Israele e per la regione, Netanyahu cercò di rassicurare tutti affermando in varie interviste che si sarebbe trattato del suo governo e che sarebbe stato lui ad avere saldamente le mani sul timone. Le sequela di incidenti diplomatici della scorsa settimana dimostra che non è così, perché se Netanyahu avesse le mani sul timone i suoi ministri non si abbandonerebbero a dichiarazioni e commenti che allarmano e offendono gli amici. Altro che due mani: a questo punto, anche una sola mano sul timone sarebbe un miglioramento. Netanyahu deve prendere il controllo sui suoi ministri e instaurare disciplina e ordine nella sua compagine prima che essi causino ulteriori inutili danni alle relazioni di Israele con paesi chiave e con i suoi sostenitori in tutto il mondo.
(Da: Jerusalem Post, 24.3.23)