Quanti conflitti simultanei può gestire un piccolo paese? Israele, la cui superficie è più piccola di quella di Gibuti e la cui popolazione è inferiore a quella del Cairo, potrebbe trovarsi a scoprirlo presto.
La minaccia più seria è rappresentata dai capi del regime iraniano, che continuano ad avanzare verso lo sviluppo di armi nucleari che darebbero loro i mezzi per mettere tutti sotto ricatto e conseguire il loro obiettivo apertamente dichiarato: lo sterminio di Israele e degli israeliani. Durante una recente visita in Germania, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che “Israele farà ciò occorre a Israele” per difendersi, come ha fatto negli ultimi 75 anni. Poiché nessun altro stato della regione ha la volontà né la capacità di opporsi a Teheran, un numero crescente di paesi arabi ha capito che l’esistenza di Israele è funzionale ai loro interessi. Il più importante di loro, l’Arabia Saudita, non ha formalizzato questo riconoscimento, ma i suoi rapporti con gli israeliani sono diventati più stretti. All’inizio di questo mese, tuttavia, c’è stato un annuncio inaspettato: le relazioni diplomatiche tra Riad e Teheran verranno ristabilite. L’accordo è stato mediato dai governanti cinesi, che intendono sostituire gli Stati Uniti come potenza più influente in Medio Oriente e, col tempo, in ogni parte del mondo. Ciò non significa che ora i sauditi si fidino dei loro vicini sciiti jihadisti. Significa che tengono le carte coperte, incerti su chi si dimostrerà l’attore più forte negli anni a venire.
Una delle basi della forza di Teheran è il suo gregario Hezbollah che, a tutti gli effetti, controlla lo stato disfunzionale del Libano. In palese violazione degli accordi che posero fine al conflitto del 2006 con Israele, Hezbollah ha installato – nelle scuole, negli ospedali, nelle moschee e nelle case libanesi – ben 150.000 missili, un numero crescente dei quali a guida di precisione e quindi più letali. Probabilmente la Jihad Islamica Palestinese (gruppo terrorista con base a Gaza, sponsorizzato dall’Iran ndr) si aggiungerebbe a qualsiasi nuovo conflitto tra Israele e Iran o Hezbollah, così come Hamas che comanda a Gaza e la cui massima priorità è l’uccisione di ebrei israeliani.
Attualmente entrambi i gruppi hanno impiantato cellule anche nel nord della Cisgiordania, dove secondo gli Accordi di Oslo dovrebbe governare l’Autorità Palestinese. In quest’area effettuano regolarmente aggressioni e attentati anche formazioni terroristiche islamiste minori, come la “Fossa dei leoni”: ben 1.352 dal marzo dello scorso anno, secondo il database della Foundation for Defense of Democracies di Washington. Sebbene la maggior parte di questi attacchi sia stata sventata, almeno 31 israeliani sono stati uccisi nel 2022. A gennaio di quest’anno, sette israeliani sono stati assassinati a colpi d’arma da fuoco fuori da una sinagoga di Gerusalemme (a febbraio altri sette sono stati uccisi in diversi attentati ndr).
La risposta dell’Autorità Palestinese? Secondo il Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center, “continua a glorificare gli operativi terroristi e a garantire alle loro famiglie un trattamento speciale, compreso il sostegno finanziario”. Cionondimeno, come ha scritto di recente il mio collega della Foundation for Defense of Democracies, Tony Badran, l’amministrazione Biden è in procinto di “costituire un potenziale esercito terroristico palestinese di 5.000 uomini che in teoria dovrebbe combattere il terrorismo in Cisgiordania al posto delle Forze di Difesa israeliane”. Badran è pronto a scommettere che questo esercito palestinese finirà per affiancare e favorire i terroristi e combattere le forze israeliane.
L’attuale ondata di violenza israelo-palestinese si è ulteriormente inasprita il 26 febbraio, quando due giovani fratelli israeliani sono stati assassinati a sangue freddo mentre erano fermi con la loro auto nel traffico sulla strada principale che attraversa il villaggio palestinese di Huwara, in Cisgiordania. Gli abitanti del villaggio hanno festeggiato il duplice omicidio distribuendo dolci per le strade. Quella stessa sera, giovani israeliani delle comunità vicine hanno risposto scatenandosi per le strade di Huwara dove hanno bruciato case e automobili. Vi sarebbe stato anche un morto palestinese, stando a una dinamica non ancora del tutto chiarita. Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui condannava l’uccisione dei due fratelli ed esortava gli israeliani ad astenersi da aggressioni per vendetta. Non ci sarà da sorprendersi se le violenze proseguiranno nei giorni a venire.
Intanto Israele è impegnato anche in Siria in una di quelle che chiama “guerra tra le guerre”: in particolare, bombarda le basi militari che i capi iraniani cercano di stabilire nel paese che confina a nord con Israele. Il regime di Teheran espelle sunniti siriani dai loro villaggi, sostituendoli con colonie di sciiti. Ma i funzionari delle Nazioni Unite mostrano scarsissimo interesse per questa moderna variante del colonialismo. Quello che appassiona di più i funzionari delle Nazioni Unite è demonizzare e delegittimare in modo ossessivo e implacabile l’unico stato del Medio Oriente in cui ebrei, arabi e una lunga lista di minoranze godono della libertà di religione, di parola, di voto, di lavoro ecc.
Con tanti nemici in guerra contro di loro, ci si aspetterebbe che gli israeliani fossero più uniti che mai. Invece, stanno furiosamente litigando sulle proposte di legge dell’attuale governo volte a limitare quello che i sostenitori della coalizione descrivono come un eccessivo e crescente potere della magistratura. Gli oppositori della riforma organizzano grandi manifestazioni, bloccato le autostrade e insistono sul fatto che qualsiasi limite alla magistratura porrebbe fine alla democrazia nel paese. Personalmente ho sentito argomenti convincenti da entrambe le parti della controversia. Ad esempio, i sostenitori della riforma si oppongono al fatto che giudici non eletti blocchino sia delle leggi sia delle scelte politiche semplicemente perché le trovano “irragionevoli”. Gli oppositori ribattono che senza un sostanziale controllo giudiziario non ci sarebbero più né controlli né contrappesi rispetto a maggioranze anche molto risicate della Knesset e ai poteri del primo ministro. Benché non sia impossibile immaginare una formula di compromesso che soddisfi entrambe le parti, un accordo non sembra imminente. Forse perché le radici di questo conflitto sono più profonde, nutrendosi di antichi risentimenti tra sinistra e destra, tra israeliani laici e ultra-religiosi, tra ebrei di origine europea ed ebrei dei paesi mediorientali.
Israele è un piccolo paese, ma i suoi molteplici nemici incombono. Questa è la cosa principale. Gli israeliani di ogni convinzione e background farebbero bene a mantenere come principale la cosa principale.
(Da: jns.org, 22.3.23)