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La Repubblica Rassegna Stampa
22.03.2023 Armi: Lega e M5s frenano Meloni
Cronaca di Emanuele Lauria

Testata: La Repubblica
Data: 22 marzo 2023
Pagina: 12
Autore: Emanuele Lauria
Titolo: «Armi a Kiev, Meloni nella tenaglia, Lega e M5S frenano sugli aiuti»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/03/2023 a pag.12 con il titolo "Armi a Kiev, Meloni nella tenaglia, Lega e M5S frenano sugli aiuti" la cronaca di Emanuele Lauria.

Cannoni e mezzi hi tech, ecco le armi date dall'Italia per l'offensiva  ucraina - la Repubblica

ROMA —«Ho applaudito con convinzione... ». A seduta conclusa l’ex ministro grillino Stefano Patuanelli non riesce a trattenere, con il sorriso fra le labbra, l’apprezzamento per le parole appena pronunciate dal capogruppo leghista Massimiliano Romeo. A Palazzo Madama si materializza, d’improvviso, l’ombra del vecchio asse gialloverde. Una tenaglia, per Giorgia Meloni, alla vigilia del consiglio europeo di Bruxelles. Una riprova sempre più chiara di quanto la Lega, sul conflitto in Ucraina, sia distante dalle posizioni della premier. Mentre il confronto con i 5Stelle, i più espliciti nel no all’invio alle armi, è durissimo. E rischia di diventare rovente oggi alla Camera, nel secondo tempo delle comunicazioni della presidente del Consiglio, quando a parlare ci sarà Giuseppe Conte. Giornate di passione, per Meloni. Che tiene il punto sull’atlantismo: «È una menzogna dire agli italiani che se non fornissimo armi all’Ucraina si potrebbero aumentare le pensioni o ridurre le tasse», afferma. Inviarle serve a «tenere la guerra lontana dal resto d’Europa e da casa nostra ». Il governo non cela l’intenzione di aumentare gli stanziamenti militari, anzi: «Ci metto la faccia», scandisce la premier, «perché la libertà ha un prezzo. E non bado - aggiunge all’impatto sul consenso della sottoscritta». I sistemi di difesa aerea forniti dall’Italia, il cuore del sesto pacchetto, servono a «proteggere la vita dei civili», il resto è «propaganda». L’attacco è ai 5Stelle, e in particolare al suo presidente: «Ho sentito dire che andrei a prendere ordini in Europa. Ma io preferisco dimettermi, piuttosto che presentarmi al cospetto di un mio omologo europeo con i toni con i quali Giuseppe Conte andò da Angela Merkel, a dirle che il M5s era composto da ragazzi che avevano paura di scendere nei consensi ma alla fine avrebbero fatto quello che l’Europa chiedeva». Quando dice queste cose Meloni probabilmente non immagina che la replica più dura, o almeno più imbarazzante, arriverà dalla sua maggioranza. Dalla Lega. L’“ariete”, in Senato, è sempre Romeo. Quando prende la parola, non c’è alcun rappresentante del Carroccio fra gli scranni del governo. Segnale preciso. E il capogruppo fa diretto riferimento proprio alle parole della Meloni: «Signora presidente del Consiglio, lei il 14 dicembre disse che l’unica possibilità di arrivare a un negoziato è sostenere l’Ucraina per arrivare a un equilibrio tra le forze in campo. È assolutamente condivisibile. In questi tre mesi un po’ di stallo c’è stato, ma ben pochi sono stati i passi in avanti sul fronte del cessate il fuoco e anche della tregua». Ma non si ferma qui, Romeo. Denuncia «una corsa ad armamenti sempre più potenti, con il rischio di un incidente da cui non si possa più tornare indietro. Siamo certi che un’escalation del conflitto riuscirà a tenere lontana la guerra dall’Europa e dal nostro Paese? ». Una frase con cui il capogruppo leghista mette apertamente in dubbio quanto affermato da Meloni.Non a caso, quando Romeo cessa di parlare, non arrivano applausi dai banchi di Fdi. «Romeo? Non ci è parso un intervento eccezionale», dirà più tardi un ministro di Fratelli d’Italia. È il gelo. La risoluzione di maggioranza comunque passa. E la premier, sul tema dei migranti, in serata ottiene al telefono dalla presidente della commissione europea Ursula Von der Leyen la rassicurazione sull’impegno ad agire in modo «rapido e coordinato». Si consola così, anche se nel Consiglio - pare - l’immigrazione sarà argomento marginale. Per Meloni è sempre bruciante la memoria dei fatti di Cutro. «Criticate ferocemente il governo - dice alle opposizioni - ma, vi prego, fermatevi un secondo prima di danneggiare l’Italia». Il clou arriva quando la senatrice pd Tatiana Rojc, a proposito del naufragio, cita Pasolini: «Sappiamo, ma non abbiamo ancora le prove ». La premier si infervora: «Non c’è e non ci sarà alcuna prova che lo Stato poteva fare di più». Fino all’improvviso ritorno a un suo inciso di successo: «Io sono una madre!», urla. Chissà se la Camera, oggi, sarà più benevolente.

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