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La Repubblica Rassegna Stampa
20.03.2023 I crimini di Putin
Cronaca di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci

Testata: La Repubblica
Data: 20 marzo 2023
Pagina: 15
Autore: Giuliano Foschini, Fabio Tonacci
Titolo: «Stupri e stragi di civili. Ecco le carte italiane per i giudici dell’Aia»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/03/2023, a pag. 15, con il titolo "Stupri e stragi di civili. Ecco le carte italiane per i giudici dell’Aia", l'analisi di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci.

Festival Internazionale del Giornalismo
Giuliano Foschini                     Fabio Tonacci

Nel fascicolo d’inchiesta che ha spinto la Corte penale internazionale a emettere un mandato di cattura per Vladimir Putin ci sono migliaia di testimonianze di profughi ucraini che, nel corso di quest’ultimo anno, hanno consegnato agli inquirenti filmati, fotografie, file audio. Costituiscono parte integrante dell’impianto accusatorio ipotizzato dal procuratore Karim Ahmad Khan. Repubblica ha avuto accesso ai verbali raccolti dai poliziotti italiani che, coordinati dalla Direzione nazionale antimafia e da Eurojust, hanno lavorato in gran silenzio alla ricerca di fonti di prova dei crimini di guerra commessi in Ucraina, come da disposizione impartita da Khan. «Fonti di prova e di informazione — si legge nel resoconto di una cruciale riunione tenutasi all’Aia a marzo 2022 — individuabili nel racconto di quanti hanno assistito personalmente ad accadimenti integranti violazioni del diritto internazionale umanitario». Violazioni, plurale: a conferma che il «rapimento e la deportazione illegale di bambini ucraini» è probabilmente solo la prima delle accuse che saranno mosse al presidente russo. Il suo esercito dovrà rispondere anche di ciò che è accaduto a Bucha e a Mariupol. E che i poliziotti italiani, dopo aver ascoltato decine di testimonianze, così riassumono: «Assassinii di civili, distruzione degli obiettivi militari, delle civili abitazioni e degli ospedali, dei centri commerciali e delle farmacie, attraverso missili e bombe sganciate dagli aerei militari russi». Ma anche il trasferimento nei territori della Federazione dei 2,9 milioni di ucraini (la stima è dell’Onu) che, se ne venisse provato l’intento della disgregazione etnica, potrebbe configurare l’accusa di genocidio.

Le violenze sessuali
O.T. è una sindacalista e racconta quanto avvenuto a una sua amica. «I russi — dice — sono entrati nel suo villaggio attraversando il fiume. Sono entrati nella sua casa, hanno fattouscire la madre e la nonna, con la nipotina, e li hanno chiusi nello sgabuzzino. Poi cinque soldati russi l’hanno violentata e ogni giorno sono tornati reiterando le violenze sessuali e costringendo i parenti della ragazza a cucinare». Una circostanza, quella delle violenze sessuali, che appunto torna spesso. M.M., psicologa, riferisce di aver aiutato diverse donne che erano riuscite a scappare da Bucha. «Mi hanno raccontato di essere state violentate e che spesso questo è avvenuto davanti ai loro bambini. I soldati russi utilizzano il viagra, per far soffrire le vittime più a lungo». C’è U.A., poi, che ricorda davanti ai poliziotti italiani di quando lavorava nell’ospedale di Kherson. «Ero infermiera, sono stati ricoverati bambini di 2-4 anni che mostravano segni evidenti di violenze e sono morti» dice, prima di entrare nel dettaglio delle lesioni rilevate sui corpi dei piccoli.

L’autobus sparito nel nulla
Scorriamo altri verbali. V.U. è una studentessa universitaria di giurisprudenza. È scappata dalla sua città, Kharkiv, con un corridoio umanitario. Alina, una sua amica, ha provato ad evacuare in autobus. «Ma nessuno è arrivato a destinazione. Mentre percorrevano il tragittostabilito — spiega la studentessa agli investigatori italiani — l’autobus è stato fermato dai militari russi e i passeggeri sono stati uccisi, tutti. Abbiamo cercato Alina per tre giorni fin quando il preside della facoltà presso l’Università nazionale di Giurisprudenza “Jaroslava Mudrogo”, Anatoly Getman, ci ha comunicato la morte di Alina e delle sue compagne. La strage è avvenuta il 24 febbraio 2022, sulla strada che da Kharkiv porta a Toretsk».

Obbligati a parlare russo
S.K., ingegnere, porta la parola di suo figlio D., rimasto bloccato a Izium. «Non poteva spostarsi a causa dei bombardamenti e del fatto che la città fosse ormai occupata dai russi. Quando l’intensità dei bombardamenti è diminuita è uscito dal bunker e ha verificato che l’edificio adiacente non c’era più. Ha visto cadaveri disseminati lungo le strade, che venivano sepolti nelle fosse comuni. A Izium era cambiato tutto, vi era un nuovo sindaco, russo, che aveva imposto delle regole nuove. Tutti venivano controllati, sequestravano tutto ciò che gli piaceva (sigarette, cellulari, auto etc.) e cacciavano i cittadini dalle proprie abitazioni, dicendo: ‘noi abiteremo qua’. Nel frattempo avevano imposto anche la loro moneta, il rublo, e distribuivano solo gli aiuti umanitari che provenivano dalla Russia». Questa lunga testimonianza dell’ingegnere è ritenuta di grande interesse investigativo. «Chi voleva poteva emigrare, ma esclusivamente verso la Russia, e chi sceglieva mete diverse, doveva superare i campi minati ed il ‘fuoco’ russo. Chi si muoveva in città senza rispettare il “coprifuoco” ed era beccato, lo costringevano a raccogliere i cadaveri per strada o a fare lavori pesanti. Insomma, i russi non tolleravano più gli ucraini. Chi parlava in ucraino veniva fatto prigioniero. L’unico modo per restare in quei territori era esplicitare l’appartenenza alla Federazione Russa e parlare russo».

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