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La Repubblica Rassegna Stampa
14.03.2023 Putin, una bomba ogni 5 minuti
Cronaca di Brunella Giovara

Testata: La Repubblica
Data: 14 marzo 2023
Pagina: 14
Autore: Brunella Giovara
Titolo: «Kupiansk come Bakhmut una bomba ogni 5 minuti: 'Ma noi non ce ne andiamo'»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/03/2023, a pag.14, con il titolo "Kupiansk come Bakhmut una bomba ogni 5 minuti: 'Ma noi non ce ne andiamo' ", l'analisi di Brunella Giovara.

US determines Russia committed war crimes in Ukraine: Blinken | Russia- Ukraine war News | Al Jazeera

KUPIANSK — Da questo posto bisogna andarsene, e subito. Senza aspettare che i russi ricevano nuovi pezzi di artiglieria, senza aspettare la tabula rasa e definitiva di Kupiansk. Per metà è già fatta, basta affacciarsi sul belvedere del municipio, che è tutto crepato, e guardare verso la vallata un tempo orgoglio dell’oblast di Kharkiv. Fabbriche, fabbriche, e anche due condomini bianchi che da questo osservatorio sembrano intatti, ma non lo sono. La famosa fonderia non esiste più. Lo zuccherificio, lo stabilimento di lavorazione della carne e quello del latte. La grande azienda di metalmeccanica, quella gigantesca dei mattoni. Tutto è in rovina, a parte due ciminiere, forse già domani le tirano giù con un colpo di obice, e amen. Precisi come ragionieri, i russi giocano al tirassegno, sulla cadenza regolare dei 5 minuti, 5 minuti un colpo, e così via, giorno e notte. Quando smettono, è perché hanno finito le munizioni, e allora i pochi civili escono dai loro buchi e vanno a cercare cibo, acqua, medicine. È così da settembre, da quando hanno lasciato la città, che pure avevano saccheggiato. All’inizio dell’occupazione «venivano a scambiare il gasolio dei carri armati con verdure e polli», dice Ihor, sul bordo del ponte bombardato. Poi si sono fatti più cattivi, pretendevano. E incalzati da una veloce controffensiva ucraina, si sono infine ritirati dietro la fascia di foresta che si vede laggiù. Sopra c’è un cielo blu e bianco di nuvole, è una giornata perfetta, non fosse per i colpi continui. Vogliono questa città, dopo averla abbattuta come è stato per Mariupol e Kherson. Vogliono anche questo incrocio di ferrovie, la linea che attraversa il confine e va verso Voronezh, e le strade che portano a nord, a Kharkiv, e a sud verso il Donbass. Gli ucraini, in difesa,Kupiansk non deve cadere. Sparano, si spostano per non farsi individuare, sparano. I russi – alla maniera sovietica - tirano tutto quello che hanno, e anche roba vecchia, a giudicare dalle casse di Grad via via abbandonate sulle strade, si legge ancora bene l’anno di produzione ed è il 1984. Potrebbero avanzare, dopo aver distrutto la città? Sì. Oleh Syniehubov, capo dell’amministrazione militare di Kharkiv, ha detto qualche giorno fa che questa è «la zona più calda», anzi rovente, con Bakhmut. E che «gli attacchi sono continui», dal belvedere sulla collina si vedono le nuvolette delle esplosioni. Oltre, la prima linea, i combattimenti da trincea a trincea. Quindi, ordine di evacuazione per tutta la città, che un anno fa aveva 30mila abitanti, ora 2mila scarsi. Se non fosse per l’orgoglio, ma perché restare qui sotto tiro? «Perché è casa nostra», risponde un signore con una giacca a vento lurida, e siamo davanti al supermercato Produkt, ora trasformato in centro di distribuzione di cibo caldo e pane. La roba arriva da Chuhuiv, 40 chilometri di distanza. Il camion di World Central Kitchen porta ogni giorno i bidoni di minestra e le casse di un secondo con carne. «Quattro punti di distribuzione, ciascuno riceve 80 litri di minestra e 80 di secondo, che bastano per 200/300 persone», significa che quasi tutta la popolazione viene qui con la pentola e così si sfama. Andarsene? E come fare con l’orto e i cani ormai randagi, le tribù di gatti che aspettano gli avanzi, e anche la paura di finire in una città grande e sconosciuta come Kharkiv. Iuri, che avrà quasi 80 anni: «Ma lei non può dire ai nostri partner italiani di mandarci gli Atacms, così vinciamo e torna la pace?». Irina, maestra di una scuola per bambini disabili, è disperata più che per i colpi in arrivo, «per i nostri 14 bambini, che i russi hanno portato via quando si sono ritirati. Era l’8 settembre, e poverini, chissà dove sono finiti. Quelli sono venuti armati, li hanno deportati! La preside Natalia Alexandrovna fa di tutto per sapere dove sono, ma è inutile ». Quei bambini sono la tragedia di tutta Kupiansk, più che i morti nei bombardamenti, più che i cadaveri dei soldati che vengono portati via dalla prima linea. La caserma della polizia è a fianco del municipio. Un colpo l’ha presa nel suo centro esatto, come spesso è successo e succede, un colpo solo al centro del palazzo, del supermercato, del condominio, quanti sono morti solo perché abitavano al centro. Il comandante si chiama Dmytro, e si capisce che non dorme da un po’. «La situazione la vede. Siamo rimasti pochi in città». Gli uffici sono nei sotterranei, anche qui arriva un odore di minestra che forse è quella che arriva da Chuhuiv. E il municipio è deserto, sulla facciata un murale a colori brillanti: “Kupiansk è ucraina”, e succeda quel che deve succedere.

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