Madre Goldie Goldbloom Traduzione di Elio Turellato Playground euro 18,00
“I segreti sono alla radice di ogni debolezza”
Il mondo ebraico ultraortodosso raccontato nelle mille sfumature che lo compongono è il tessuto narrativo nel quale si innestano le storie di autori talentuosi come Naomi Ragen, Faye Kellerman, Yehoshua Bar-Yosef, che descrivono in epoche e luoghi diversi una società rispettosa delle tradizioni religiose con una rigida osservanza di regole lontane dalla modernità che, pur suscitando pregiudizi nel mondo “di fuori”, si rivela una realtà pulsante di vita e aperta alla solidarietà.
In questo contesto si inserisce il romanzo “Madre”, pubblicato nell’interessante catalogo di Playground, della scrittrice australiana Goldie Goldbloom, docente all’università di Chicago, membro della comunità chassidica, madre single di otto figli e fondatrice di Eshel, una organizzazione di sostegno per ebrei ortodossi Lgbtq.
Ambientato a Williamsburg, un grande quartiere di Brooklyn dove vivono ebrei ultraortodossi e in particolare chassidici (appartenenti a un movimento basato sul rinnovamento spirituale dell’ebraismo ortodosso sorto in Polonia nel XVIII secolo), il romanzo racconta di una donna chassidica di 57 anni, madre di dieci figli, nonna e bisnonna di tanti nipoti che scopre con sgomento di aspettare due gemelli: una notizia che la sconvolge anche per la consapevolezza che se trapelasse sarebbe oggetto di pettegolezzi in famiglia (è impensabile per i figli immaginare che i genitori facciano ancora l’amore) e di scandalo all’interno della comunità.
E così Surie Eckstein decide di tenere il segreto per sé e rimandare il momento in cui lo comunicherà al marito Yidel, un uomo mite e paziente che svolge con passione il suo lavoro di scriba e, seppur ancora innamorato della moglie, è del tutto inconsapevole di quanto le sta capitando.
Attorno a questo silenzio, sempre più ingombrante come il corpo di Surie che per il fatto di essere obesa riesce a nascondere fra le pieghe di ampi vestiti il suo stato, ruota la trama di un romanzo che cattura il lettore fin dalle prime pagine con uno stile avvincente ed empatico catapultandolo in un mondo che sembra muoversi in uno shtetl polacco della fine Ottocento.
L’autrice che conosce molto bene il mondo chassidico perché lo vive dall’interno ci regala una figura di donna straordinaria che conquista con la sua forza d’animo, la sua rettitudine, i suoi limiti e le inevitabili contraddizioni. Surie è un’anziana piena di vita, un pilastro della comunità cui chiedere consigli, una persona rispettata che ama il suo mondo e non cerca alternative. E’ una donna che ha fatto un lungo percorso interiore costellato da momenti di profonda sofferenza dopo aver perso il figlio Lipa, allontanato dalla comunità perché gay, e che ora si interroga sulla necessità di una maggior capacità di comprensione verso coloro che abbandonano la “strada giusta” e non dovrebbero per questo essere privati dell’amore dei familiari …“Sarebbe ancora vivo Lipa se semplicemente l’avessero amato per quello che era?”, riflette nel suo intimo. Mentre gli altri figli di Surie, in particolare Tzila Ruchel, molto dura nei giudizi, lo hanno volutamente dimenticato, per lei è impossibile strapparsi dal cuore l’amato Lipa, sebbene si senta in colpa per non aver saputo accettare la sua fragilità e diversità. E dopo anni dalla sua morte conserva ancora nella vestaglia un paio di occhiali dalla montatura verde, oggetto di scandalo per la famiglia.
Il rifiuto di una persona omosessuale è un tema molto attuale - e non solo nell’ebraismo ultraortodosso - già affrontato in altre opere, ad esempio nello struggente racconto “Figli” dell’autrice israeliana Savyon Liebretch (Perle alla luce del giorno (e/o), che Goldie Goldbloom scandaglia con sensibilità e con uno sguardo empatico.
L’assistenza ai malati, il Bikur Cholim, è una mitzvà, uno dei precetti che gli ebrei devono osservare e Surie vi si dedica con grande senso di responsabilità: tutte le settimane si reca con una torta in ospedale e ora che si deve sottoporre anche a visite periodiche perché la sua è una gravidanza ad altissimo rischio accetta di aiutare Val, l’ostetrica che ha già fatto nascere gli altri suoi figli, con le donne della comunità che si rivolgono alla struttura medica ma non riescono a confidarsi con i medici perché parlano solo l’yiddish. Surie si appassiona a questo lavoro e comincia a studiare i libri di ostetricia che le ha dato Val per acquisire informazioni utili e poter accompagnare le donne fino al parto. Ama studiare e anche se il marito Yidel getta uno dei libri nell’inceneritore lei se ne procura subito un altro. Il suo mondo finora circoscritto all’ambito familiare si amplia, entra in contatto con persone che non avrebbe mai conosciuto prima di frequentare il reparto di ostetricia e questo la fa sentire utile anche al di fuori del contesto familiare.
Per la prima volta sente di avere un obiettivo nella vita che persegue con tenacia senza però trascurare il ruolo di madre e moglie: un’impresa tutt’altro che facile!
La vita di questa comunità chassidica è scandita dalle feste religiose: Chanukkà, Purim, Pesach, Lag Ba’omer e Shavuo,t i cui giorni di festa “cadono sempre con il bel tempo, con i venti leggeri e i cieli color fiordaliso”: sono momenti di serenità, di allegria e di riflessione che coinvolgono nei preparativi tutta la famiglia e che l’autrice descrive in modo magistrale accogliendo il lettore in quella casa sempre affollata di bambini vocianti, di adulti che chiacchierano gustando i piatti della tradizione ebraica in un perenne disordine in cui la matriarca si destreggia con perizia seppur con un crescente senso di affaticamento.
Non mancano i momenti di lutto e di dolore. La morte della suocera con la quale Surie aveva un rapporto speciale (è l’unica a intuire lo stato di gravidanza della nuora) vede la partecipazione di tutta la comunità che si prodiga per preparare “dolci, arrosti, zucchine e carote per il kigel ebraico in modo da sfamare tutti coloro che piangeranno la morte di Dédanya”. Perché “la morte è considerata un evento comune, un fatto ordinario della vita di ciascuno, e per questo non è nascosta come invece accade nel mondo di fuori”.
“Madre” è un romanzo che nasce dalla penna sapiente di un’autrice il cui sguardo sugli ebrei chassidici, a tratti ironico, svela una profonda conoscenza di questa comunità, pur restando un po’ ai margini, quasi senza farne parte del tutto; ne apprezza i lati positivi come vivere in un gruppo forte, pieno di calore, orientato al servizio per gli altri e alla dedizione alla famiglia ma non nasconde quelli negativi come la mancanza di libertà nell’espressione dei propri desideri o bisogni che possono condizionare la vita di un individuo o, peggio, isolarlo dal suo contesto familiare.
Dopo alcune serie Nettflix come Shtisiel e Unhorthodox che hanno suscitato molto interesse per la vita delle comunità chassidiche, il libro di Goldie Goldbloom offre l’opportunità di riflettere sul conflitto tra collettività e individuo, tra i diritti della persona e le esigenze del gruppo di appartenenza e nel contempo getta uno sguardo su una società certamente arretrata ma regolata da una vita più semplice ed essenziale, meno soggetta all’ansia, benchè a volte opprimente. Surie, la vera eroina di questo romanzo, può essere un modello per tutte le donne che si portano un segreto dentro di cui non riescono a parlare con le persone care, afferma Goldie Goldbloom. “Surie sceglie la connessione al posto della politica e delle regole, l’amore anziché il sistema e la cosa giusta…Abbiamo bisogno di più donne come lei”.