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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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L'Opinione Rassegna Stampa
23.04.2003 Siria: riapre l'ufficio boicottaggi anti Israele
Forse la Siria non ha capito la lezione irachena

Testata: L'Opinione
Data: 23 aprile 2003
Pagina: 2
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «Siria:riapre l'ufficio boicottaggio Israele, non hanno ancora capito la lezione»
Riportiamo l'articolo di Dimitri Buffa pubblicato mercoledì 23 aprile 2003 su L'Opinione
Ma davvero la Siria ha capito la lezione? I segnali che giungono da Damasco
sono assai contraddittori. Da una parte il ministro degli esteri Farouk Al
Sharaa solo ieri dava ampie rassicurazioni sulla chiusura delle frontiere
con l'Iraq a chiunque non fosse in possesso di un regolare visto d'entrata
(frase ambigua: chi impedisce a Saddam e ai suoi giannizzeri di essersene
già da tempo procurato uno), dall'altra è sempre di ieri la notizia della
riunione dell'ufficio centrale per il boicottaggio dei prodotti israeliani
che ha deciso di rinnovare la propria ignobile opera di discriminazione
nazista per un altro anno contro ogni prodotto industriale di proprietà di
ebrei.
Per chi non lo sapesse questa ignobile burocrazia, cui partecipano tutti gli
stati arabi, fu fondata nel lontano 1951 a Damasco ben 16 anni prima della
guerra dei sei giorni. Cosa che smonta ogni relazione con la situazione dei
cosiddetti territori occupati dei palestinesi. Semplicemente ora come allora
Damasco riafferma la propria pregiudiziale anti semita e anti ebraica che
sembra andare in senso del tutto opposto a quello che ormai giustamente gli
Usa pretendono nella regione dopo la schiacciante vittoria contro il regime
di Saddam.
Che fare allora?
Qualche suggerimento arrivava ieri da Riad Al Turk,73 anni, il più
importante dissidente siriano al regime di Asad che sia riuscito a
sopravvivere e a riparare all'estero. Dopo 18 anni di prigione con il padre
di Asad e 13 mesi con il figlio oggi vive in esilio. E sentite che dice
dell'attuale situazione siriana: "L'Iraq aveva un sistema più tirannico e
sanguinario di quello siriano, se vogliamo comparare semplicemente i morti
ammazzati dal regime, ma nella sostanza sono lo stesso tipo di sistema
politico".
"Per quello che ne so io - dice oggi Al Turk - il regime traballa e nulla
sarà più come prima in quella zona, dal punto di vista americano dovrebbe
valere il detto di battere il ferro finchè è caldo".
Chiaro il messaggio quindi. Confermato anche da un altro diplomatico oggi in
pensione Haitham Kalani , che semplicemente dice: "avverranno sicuramente
dei cambiamenti dopo l'esito della guerra all'Iraq anche se ancora non siamo
in grado di dire quali".
A nessuno sfugge che la Siria oggi come l'Iraq ieri dovrà presto affrontare
esami ed ispezioni a proposito di armi chimiche, batteriologiche e di
distruzione di massa. E che il sistema politico, basato sulla dittatura del
partito unico Baath è la stessa. La Siria vive sotto un regime di polizia
dal 1963 e solo lo scorso anno 9 dissidenti sono stati condannati a pene di
oltre dieci anni di carcere per avere osato mettere in discussione il ruolo
guida del partito unico. E quanto all'informazione sentite questa: il giorno
della caduta delle statue di Saddam la rete televisiva nazionale e quelle
private trasmettevano a reti unificate un documentario sull'architettura
islamica. La gente però si è sintonizzata con le parabole su Al Jazeera per
venire bombardata dall'informazione proibita. E a proposito di statue, anche
da questo punto di vista i regimi di Iraq e Siria si assomigliano molto: le
statue del padre di Asad sono ovunque in Damasco, recentemente ne è stata
costruita una di sei metri che domina uno dei parchi più grandi di Damasco.
Ma se la produzione di statue fiorisce, tutto il resto langue: non c'è stata
la riforma economica promessa da Asad figlio, le promesse banche private
semplicemente non esistono e così anche le università. Ora con la caduta
dell'Iraq la Siria perderà anche i 200 mila barili di petrolio giornaliero a
prezzo politico e per i suoi 17 milioni di abitanti stanno arrivando tempi
economicamente molto cupi, anche per le annunciate sanzioni che Washington
prima o poi riuscirà ad imporre alla comunità internazionale.
Rimane quindi una domanda inevasa: ce la faranno da soli i siriani a
rovesciare l'ultimo grande despota del Medio Oriente o bisognerà che ancora
una volta l'America dia loro una mano?

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