La clinica ucraina cura le vittime di Putin Cronaca di Fabio Tonacci
Testata: La Repubblica Data: 05 marzo 2023 Pagina: 10 Autore: Fabio Tonacci Titolo: «La clinica ucraina che ridà le gambe ai veterani feriti»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/03/2023, a pag. 10, con il titolo "La clinica ucraina che ridà le gambe ai veterani feriti" la cronaca di Fabio Tonacci.
Fabio Tonacci
Volodymyr Zelensky
Si può esser fortunati, o almeno così sentirsi, anche quando una scheggia di mortaio si conficca nella colonna vertebrale e le gambe, all’improvviso, diventano di un altro. Non rispondono più. Un corpo estraneo, come la scheggia che le ha paralizzate. «Beh, intanto io sono l’unico ad essere sopravvissuto in quella trincea…». Yuriy si solleva dal letto spingendo sulle braccia, aggiusta la tuta sul ginocchio, si mette seduto. «A giugno nasce la mia bimba, forse la chiamiamo Sofiya o forse Miloslava, sa com’è, alla fine decidono sempre le mogli, comunque io mica mi posso far trovare così a letto». In un angolo della stanza una sedia a rotelle. «Ho chiesto ai dottori un miracolo». E loro? «Non mi hanno fatto promesse, però…». La speranza appesa a un però. Ride. Yuriy riesce a ridere del suo danno e a far sorridere l’austera dottoressa Oksana Kyrychuk, direttrice del reparto riabilitazione dell’unica clinica ucraina dedicata a veterani di guerra paralizzati. Dove non si vendono miracoli, ma 44 medici fanno di tutto per farli. Che poi, veterani. Yuriy Belash ha 30 anni e prima di essere spedito nel Donbass lo scorso ottobre le uniche bombe che aveva maneggiato erano i suoi cocktail con la vodka. «Vodka ucraina, non russa, mi raccomando ». Faceva il barista. E sul letto accanto c’è Serhiy che di anni ne ha solo 21, ha la faccia da bambino e la gamba sinistra di plastica nera. «La tocchi, è una protesi buona, in una settimana qui mi hanno insegnato a usarla». Si alza e fa dieci passi nella stanza. Il fisioterapista che lo segue, sottovoce chiede di non fargli domande troppo personali. Perché Serhiy gira intorno alla stanza per mostrare di essere come nuovo, come prima quando giocava a calcio, ma la mente non la inganni così facilmente, hai 21 anni e una mina ti ha strappato la gamba dal ginocchio in giù, e d’un tratto la vita è un esercizio di equilibrismo dieci centimetri sopra la depressione. «Non si vede che ho la protesi, vero?». No Serhiy, non si vede, vai alla grande. Negli ultimi nove anni in Ucraina si diventa veterani di guerra in fretta. La clinica è nella periferia di Rivne, a quattro ore di macchina da Kiev, specializzata nel curare chi ha lesioni alla spina dorsale o traumi cerebrali che impediscono la deambulazione. È l’unico centro di questo tipo in tutto il Paese e a pensarci bene è un po’ strano, considerando che dal 2014 non c’è mai stato un attimo di vera pace. Secondo la dottoressa Kyrychuk è colpa del fatto che ai tempi dell’Unione Sovietica l’atteggiamento verso i portatori di disabilità era diverso. «Lo Stato tendeva a nasconderli, ne provava imbarazzo». La clinica è finanziata dall’amministrazione regionale di Rivne, i pazienti non pagano ma la lista di attesa è lunga. Hanno 240 posti, cento sono dedicati alla riabilitazione (prima dello scorso novembre erano lametà) e cento sono oggi i militari che stanno faticando per rimettersi in piedi, sulle proprie gambe o su gambe artificiali. «Serve un impegno mentale mostruoso per coltivare l’ottimismo in queste condizioni ». Non tutti hanno lo spirito di Yuriy e i 21 anni di Serhiy. Roman non si ricorda da quanto tempo sta girato sul fianco destro. «Mi pare da ieri sera, o forse ieri pomeriggio». È di Cherkassy però ilproiettile che gli ha bucato la spalla e lacerato gravemente la colonna lo ha colpito a Chernihiv, poco dopo l’invasione decisa da Putin. Trentasei anni, di poche parole o di pessimo umore: in entrambi i casi, ha ragione lui. «Quali emozioni provo? Nessuna. Se sono arrabbiato coi russi? Un po’. Com’è la clinica? È ok». Ferito il 29 marzo, subito ricoverato a Kiev, trasferito a Leopoli poi volato inutilmente in Svezia, il 23 febbraio è arrivato a Rivne. «Nessuno si prendeva la responsabilità di operarmi perché era troppo rischioso. Alla fine ho trovato un chirurgo coraggioso che mi ha portato sotto i ferri. Al risveglio mi sono sentito fortunato perché ho capito di non essere peggiorato». Che non vuol dire essere migliorato. Però. Il tempo medio di degenza è di 43 giorni, ad alcuni per rimettersi bastano tre settimane altri sono in riabilitazione da più di sei mesi. «Il nostro obiettivo è prepararli ad affrontare un altro lavoro, perché quello di prima, il soldato, è finito». I pesi, la ginnastica, la fisioterapia due volte al giorno, le tele da dipingere per perdersi e ritrovarsi un po’ più sereni, la piscina con i fisioterapisti che reggono gli adulti sul pelo dell’acqua come si fa coi bambini, le sedute con gli psicologi. I pazienti sono quasi tutti maschi. Ce ne sono due a cui hanno dovuto rimuovere una parte del cranio eppure sono ancora vivi. Solo chi è ferito lievemente potrà tornare al fronte. Il reparto riabilitazione, che collabora col centro sanitario dell’esercito britannico di Birmingham, è gestito da sette dottori e quattro infermieri. I pazienti in lista di attesa sono più di cinquanta. Il granatiere Anatoly, 42 anni, è stato colpito da una mina anti-tank durante la liberazione di Kherson e ora ha una cicatrice lunga un braccio sulla coscia sinistra. Il fisioterapista da mezz’ora muove la gamba, avanti e indietro, per fargli piegare il ginocchio. «Sto guarendo, riesco a stringere le dita del piede. Un po’». Tre gli step iniziali da compiere, che sembrano minimi ma per chi ha la schiena rotta sono passi da gigante. «Prima cosa: riuscire a girarsi nel letto. Seconda cosa: mettersi in posizione seduta. Dopo, essere in grado di spostarsi sulla sedia a rotelle». A volte il dolore è insopportabile e servono mesi. Yuriy il barista, che sorride nonostante tutto, è arrivato già al terzo step. Il quarto glielo regalerà sua moglie a giugno. Si chiamerà Sofiya. O Miloslava.
Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante