Tre musulmani e un colono ebreo… (ma non è una barzelletta)
Analisi di Yishai Fleisher
Yishai Fleisher
Durante un recente viaggio negli Stati Uniti, io, un “colono” israeliano appartenete alla orgogliosa comunità ebraica della biblica Hebron, ho incontrato tre musulmani in tre luoghi diversi. Le nostre interazioni sono state sorprendenti e – credo – degne di riflessione. Il primo era un giovane di nome Minn che sedeva accanto a me sull’aereo da Tel Aviv a Miami. Aveva poco più di 20 anni ed era alto, con i capelli rasati ai lati della testa. All’inizio non avrei potuto dire che era arabo: aspetto e accento erano totalmente da ebreo israeliano. Infatti, ho poi saputo dalla nostra conversazione che era un arabo israeliano con madre cristiana e padre musulmano (secondo la legge musulmana, questo significa che è nato musulmano). All’inizio non abbiamo parlato granché, ma a un certo punto ha tirato fuori un tablet e ha iniziato a guardare un programma che posso solo descrivere come porno soft. In quanto persona religiosa, ho dovuto distogliere lo sguardo finché non l’ha spento. Ma quando finalmente l’ha fatto, ho sorriso e ho fatto una battuta: “Beh, quella che stavi guardando non era certamente la porzione settimanale della Torah”. Lui ha riso e abbiamo iniziato a chiacchierare. Gli ho chiesto dove abitava e, sorprendentemente, è saltato fuori che proveniva proprio dal posto in cui sono cresciuto, un quartiere misto di Haifa arabo/ebraico, e quindi avevamo molto in comune. Entrambi abbiamo convenuto che quel quartiere sulle pendici del Monte Carmelo affacciato sul Mediterraneo è uno dei luoghi più belli e magici di Israele.
Tuttavia, è anche venuto fuori che Minn è laico, gay e che ha votato per il Meretz (estrema sinistra sionista ndr). Quindi, avevamo un po’ meno in comune. Gli ho detto che lavoro per la comunità ebraica di Hebron, e questo non gli ha fatto nessuna impressione, non essendo un tipo né politico né religioso. Poi gli ho chiesto se sapeva qualcosa della Tomba dei Patriarchi e delle Matriarche, il luogo centrale di pellegrinaggio e preghiera a Hebron. E ha detto di no. Nel mio bagaglio a mano avevo il nuovo tablet del tour autoguidato di Hebron con ben 20 filmati d’animazione sulla storia di Hebron, la Tomba degli Antenati e la vita dei Progenitori e delle Madri bibliche, che ho co-prodotto. Gliel’ho offerto. Lui l’ha preso e ha iniziato a guardare i video con grande interesse. Mentre guardava, continuava ad annuire con la testa e diceva: “Non lo sapevo”. Sembrava sinceramente assorto. Pensavo che il contenuto “religioso” lo avrebbe annoiato o addirittura respinto, ma mi sbagliavo. Solo pochi minuti prima indulgeva su un video licenzioso e ora si concentrava con soddisfazione sui racconti della Bibbia. Sono rimasto sorpreso e gratificato dal fatto che il nostro lavoro sul tablet riesca a parlare a persone di ogni estrazione sociale. Il tempo trascorso con Minn ha rafforzato la mia convinzione generale che l’educazione biblica in Israele per persone di ogni estrazione sia la chiave per crescere generazioni capaci di riconoscere la storia fondamentale dello stato ebraico. Ma c’è stata un’altra lezione importante che ho tratto dalla nostra conversazione: Minn non ha mai menzionato la Palestina, i palestinesi o la cosiddetta “occupazione”. Perché? Probabilmente perché la “Palestina” dell’Olp gli toglierebbe la libertà di essere gay e disprezzerebbe il suo stile di vita laico. A Haifa è al sicuro, può studiare liberamente e ha il diritto di vivere come vuole. Non così nella vicina Jenin, dove verrebbe aggredito e addirittura assassinato da una jihad che odia lui e Israele allo stesso modo. Quindi, niente Palestina per Minn. La successiva persona musulmana con cui sono entrato in relazione è stata una donna di nome Basrat. Ci eravamo già conosciuti durante il mio precedente viaggio in Florida, un paio di mesi prima. Basrat è sulla sessantina, bassa e con grandi occhi castani dietro gli occhiali che pendono da una catenina. Lavora da molti anni come commessa nello stesso centro commerciale. L’ultima volta che ero stato nel suo negozio, mi aveva aiutato a scegliere uno smoking di cui avevo bisogno per un evento elegante. Questa volta volevo comprare un abito nuovo e mi sono diretto nello stesso negozio. Come durante la mia visita precedente, abbiamo parlato della sua patria: l’Iran. Basrat è attiva nella battaglia sui social network per liberare il popolo iraniano dal regime oppressivo sotto il quale soffre da 45 anni. Mi ha raccontato delle centinaia di coraggiosi manifestanti che sono stati assassinati dalle forze del regime durante le manifestazioni in corso. È difficile capire il pericolo che affronta il coraggioso popolo iraniano. Basrat aveva le lacrime agli occhi mentre mi parlava dei “bei ragazzi che avrebbero tutta la vita davanti a sé”, sottoposti a orrende torture (che non sto a riferire). Abbiamo anche lamentato la sostanziale indifferenza di gran parte del mondo verso la terribile condizione del popolo iraniano. E naturalmente, abbiamo parlato della storica amicizia tra Iran e Israele, che i mullah hanno distrutto. Basrat mi ha aiutato a scegliere il vestito. Era in grado di indovinare la mia taglia con una sola occhiata. Le ho detto che avevo bisogno di un vestito adatto per lavorare nel parlamento israeliano, il che deve averla ulteriormente motivata a trovarmi l’abito giusto per taglio e costo. Mi ha detto che sapeva che avrei svolto un lavoro importante affinché Israele sia forte e sicuro, e che forse un giorno questo potrà contribuire a liberare anche il suo popolo. “Inshallah”, ho risposto. Basrat, a differenza di Minn, è esplicitamente critica nei confronti del movimento palestinese. Per lei, Hamas e Jihad Islamica sono gli stessi ayatollah e mullah che hanno devastato il suo paese. Conosce il loro percorso distruttivo e vede Israele come un antidoto di libertà per il suo amato e oppresso Iran. Il terzo musulmano che ho incontrato durante il mio viaggio lavorava all’aeroporto di Houston. Ho volato ben 15 ore per partecipare a un evento commemorativo in onore di “Baba Sali”, il rabbino Yisrael Abuhatzeira (importante personaggio religioso dell’ebraismo marocchino cabalista sefardita ndr). All’atterraggio, sono incappato in un intoppo: la mia valigia non usciva sul nastro e davvero, davvero non avevo tempo di aspettare. Quindi, sono andato al banco ritiro bagagli e mi sono avvicinato a una addetta di nome Huma. Le ho chiesto della mia valigia, ho esibito un tag e lei ha iniziato a digitare sulla tastiera, poi mi ha assicurato che la valigia sarebbe arrivata presto. Nel frattempo, abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere. Una donna di mezza età, l’accento e l’aspetto di Huma tradiscono le sue origini nel subcontinente indiano. Le ho chiesto se fosse indù o musulmana, al ché ha risposto che era una musulmana del Pakistan. Mi ha chiesto da dove venissi. Indosso una kippà e le etichette sui bagagli mostrano che arrivo dall’estero, quindi non si è sorpresa di sentire che sono israeliano. Ma è quello che ha detto lei che ha sorpreso me: “Amo Israele, ci sono stata due volte!”, e gli occhi le brillavano mentre descriveva la grande simpatia delle persone, quanto si fosse sentita al sicuro e quanto fosse pulito. Tristemente Huma mi ha poi raccontato del socio in affari di suo figlio, un ebreo, che prima del suo primo viaggio l’aveva esortata a non recarsi in Israele ammonendola – chissà perché – che nello stato ebraico sarebbe stata presa a calci e sputi. Sia lei che io eravamo sbigottiti da un senso della realtà così distorto. Per fortuna, lei è andata comunque in Israele e si è divertita molto. Le ho chiesto quali luoghi avesse visitato. Ha menzionato Tel Aviv e Gerusalemme e ha detto che aveva visto la moschea di Al-Aqsa e la tomba di Abramo. “Sei stata a Hebron?”, ho chiesto. Risposta: “Sì, certamente!”. Ho estratto il mio biglietto da visita con l’immagine della Tomba dei Patriarchi e glielo dato. Visibilmente emozionata, ha spalancato gli occhi: “Preghi tutti i giorni presso la tomba di Abramo?”. Sì, ho detto, quasi tutti i giorni. “Pregheresti perché i miei figli si sposino?” ha chiesto con tutta serietà, stringendo il mio biglietto. Ho risposto: “Sì, lo farò”, e mi sono appuntato i loro nomi. Non la finiva più di ringraziare. In nessun momento della nostra conversazione è sembrato che le importasse il fatto che sono un ebreo, un israeliano e un “colono” che lavora a Hebron. Tutto ciò che contava era che fossi connesso ad Abramo e che Israele è un luogo accogliente. Anche in questo caso, nessun cenno alla Palestina. In quanto donna che ha lasciato il Pakistan per il Texas, Huma ha scelto la libertà rispetto a una forma costrittiva di islam. Per lei, Israele è un luogo dove puoi connetterti con la tua religione e la tua identità e puoi farlo in tutta libertà. In effetti, ha ricordato in modo specifico il suo stupore e piacere nel poter camminare liberamente da sola per Gerusalemme di notte. Anche se non l’ha detto, si capiva che la Palestina appare assai più simile all’oppressivo Pakistan del suo passato. Durante i miei viaggi incontro spesso persone che esprimono rispetto e amore per lo stato ebraico. La cultura autentica, la forza militare e lo sviluppo economico di Israele suscitano rispetto nella regione, e molti vedono Israele come un esempio di liberalismo e umanità, un paese leader nella battaglia contro tirannia e jihad. Milioni di persone vedono Gerusalemme come una capitale spirituale che aspirano a visitare. La Palestina, d’altra parte, non esercita nessuna attrattiva per molti musulmani. Sanno fin troppo bene che Autorità Palestinese, Olp e Hamas sono gli stessi oppressori jihadisti e corrotti che hanno rovinato tanti paesi arabi e islamici. Questi musulmani vedono gli Accordi di Abramo e la normalizzazione di Israele nella regione come una fonte di speranza, e guardano e pregano per il successo dello stato ebraico. Inshallah!
(Da: jns.org, 14.2.23)