'Il poeta e il combattente', di Joseph Harmatz Recensione di Giorgia Greco
Testata: Informazione Corretta Data: 24 febbraio 2023 Pagina: 1 Autore: Giorgia Greco Titolo: «'Il poeta e il combattente', di Joseph Harmatz»
Il poeta e il combattente Joseph Harmatz Traduzione e cura di Anna Rolli Postfazione di Beppe Segre Rubettino euro 20
Per ricordare i sei milioni di ebrei assassinati dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale e i combattenti della Resistenza e delle rivolte nei Ghetti, ci sono due parole, ormai desuete nella nostra società, che vengono pronunciate da alcune famiglie ebree nel Rituale della Rimembranza durante il Seder di Pesach: eroismo e onore.
Parole che attengono ai grandi valori della vita umana e che i combattenti ebrei hanno fatto proprie con il loro operato durante l’intera esistenza e al momento della morte. Uomini, donne e persino adolescenti che mettendo in atto una strenua resistenza nei ghetti, nelle città, nei campi di sterminio, nelle foreste della Bielorussia, nei Paesi Baltici e ovunque fosse presente il mostro nazista hanno salvato non le loro vite ma l’onore dell’umanità, opponendosi con coraggio ad ogni forma di sopruso e di violenza e contribuendo in tal modo a restituire la pace e la libertà a tutti noi.
Fra questi eroi un posto speciale spetta a Joseph Harmatz, nome di battaglia Julek, una figura di primo piano nella resistenza del ghetto di Vilnius e partigiano nella foresta le cui memorie arrivano in Italia con il titolo “Il poeta e il combattente” (Rubettino) grazie al pregevole lavoro della giornalista e ricercatrice Anna Rolli che ha tradotto e curato il testo arricchendolo con una interessante prefazione, un’accurata cronologia e un apparato di note che completano e contestualizzano sotto il profilo storico il racconto di Harmatz.
Joseph ha scritto queste pagine che narrano con uno stile essenziale e diretto la vita di un individuo, “perché resti memoria”, senza alcun intento letterario, ma con lo “scopo di mostrare il profondo dolore e le immense sofferenze di milioni di persone che vissero e morirono durante quel terribile periodo della nostra storia contemporanea denominato Shoah”. Il libro prende avvio con il racconto del viaggio che Harmatz compie nel giugno 1994 insieme al figlio Ronny nell’Europa dell’Est e negli Stati baltici: Estonia, Lettonia e Lituania per poi proseguire per San Pietroburgo e Mosca: una sorta di ritorno alle proprie radici per ritrovare la città dov’era nato, Rokishkis, e aveva trascorso gli anni più felici della sua vita insieme ai genitori, ai fratelli e ai nonni fino a quando l’esercito tedesco non aveva invaso la Lituania, nel giugno 1941, cambiando in modo drammatico il corso delle loro esistenze.
Quello di Joseph Harmatz è un testo denso, composito, ricco di storie che si dipanano sullo sfondo della grande Storia e nel quale l’autore non è solo un testimone, una fonte dalle cui parole possiamo trarre una visione corale di ciò che accadde in quegli anni, ma un latore di testimonianze perché il libro racchiude il racconto di amici, conoscenti che hanno intersecato la sua vita vivendo tuttavia esperienze diverse e drammatiche.
Viaggio intenso ed emozionante nella geografia dei luoghi della sua adolescenza, il libro si muove su piani temporali diversi: c’è la narrazione del presente in compagnia del figlio (nella prima parte del libro) poi c’è il racconto di ciò che accadde durante e dopo la Shoah con alcune incursioni nelle prime pagine, nella vita tranquilla della famiglia Harmatz, benestante e ben inserita nel contesto socioculturale dell’epoca, prima dell’invasione nazista. A questo proposito, nella prefazione Anna Rolli offre una interessante ricostruzione della vita culturale e sociale di Vilnius, definita “la Gerusalemme della Lituania” prima e dopo la guerra, mettendo in luce come “i nazisti annientarono in piena Europa una civiltà fiorente e antichissima e a Vilnius oltre cinque secoli di cultura ebraica”.
Oltre al racconto dei massacri perpetrati dai nazisti a Kaunas, a Byorai, nella foresta di Ponar, nel campo di concentramento di Klooga, di Kaiserwald e in molti altri luoghi colpisce nelle parole di Joseph il dolore nel ricordare come il fratello Zvi, arruolato nell’Armata sovietica fosse caduto nella regione di Oryol difendendo Mosca e come il fratello minore Ephraim fosse stato deportato dopo la liquidazione del ghetto di Vilnius e ucciso nel campo di concentramento di Klooga in Estonia nel settembre 1943. E infine ricorda come la madre Dvora avesse sofferto e fosse sopravvissuta, contro ogni probabilità, nel campo di concentramento di Riga e in seguito in quello di Stutthof. Sono pagine commoventi che colpiscono nell’anima quelle in cui Joseph racconterà del ritrovamento della mamma a Bucarest dopo la guerra.
Della vita nel ghetto di Vilnius dove era stata trasferita la famiglia emerge un quadro di miseria, soprusi e di lotta per la sopravvivenza: la socialità e la solidarietà sono state polverizzate, la comunità è in frantumi, i nazisti svolgono con zelo il loro compito infame. Qui a fianco dello Judenrat, il consiglio ebraico che doveva “consegnare” quote di ebrei e separare i cosiddetti “produttivi” dagli altri, nasce nel gennaio 1942 un’organizzazione clandestina, l’FPO, il movimento partigiano del ghetto di cui entra a far parte anche il giovane Joseph che ha così l’occasione di incontrare il secondo comandante dell’intera FPO, il grande poeta Abba Kovner (cui si allude nel titolo) che avrà una parte fondamentale nella vita di Harmatz.
Dopo la fuga precipitosa dal ghetto di Vilnius nel settembre 1943 attraverso le fogne in cui Kovner e Joseph vivono il dramma di dover abbandonare le proprie madri e ciò che resta della famiglia, i giovani della Resistenza raggiungono la foresta di Rudnitski per formare i battaglioni partigiani che combatteranno contro i nazisti. La vita nelle foreste si rivelerà molto dura per le gelide notti d’inverno nei Paesi baltici, per le missioni pericolose da affrontare (“ durante la notte ci dedicavamo all’offensiva contro i tedeschi, facevamo saltare i ponti, i treni, le rotaie e qualsiasi altra cosa per procurare il massimo danno alle linee di comunicazione germaniche… si contavano più caduti nelle spedizioni alla ricerca di cibo che nella lotta contro i nazisti”), per la presenza di collaborazionisti e per l’antisemitismo che serpeggiava fra le fila dei partigiani sovietici.
Il desiderio di vendetta contro i responsabili dello sterminio dei propri familiari e dell’annientamento del proprio mondo si manifestò dopo la guerra nell’adesione di Joseph Harmatz e di Abba Kovner insieme ad altri compagni al gruppo chiamato I Vendicatori con lo scopo di dare la caccia ai nazisti che avevano perpetrato tutti i crimini dei quali erano stati testimoni. I piani di vendetta, alcuni dei quali prevedevano il coinvolgimento di tedeschi innocenti, vennero presto abbandonati anche per la divergenza di opinioni con l’Agenzia ebraica e Ben Gurion che in quel momento storico privilegiavano il soccorso ai rifugiati perché la priorità assoluta era fondare prima possibile lo Stato d’Israele.
Dopo un viaggio complicato attraverso un’Europa distrutta dalla guerra Joseph Harmatz arriva nel porto di Haifa il 26 giugno del 1946 su una barca che trasporta 1257 immigrati illegali “in un caldo torrido che nessuno di noi, in vita sua, aveva mai provato…”
L’ultima parte del libro, molto interessante sotto il profilo culturale e storico, è dedicata all’impegno profuso dall’autore nello sviluppo economico e nel consolidamento dello Stato ebraico con le estenuanti missioni nell’Europa dell’Est e nel Nord Africa per soccorrere le comunità ebraiche oppresse, con il lavoro nella Società elettrica palestinese, con l’incarico di Direttore della Divisione rifornimenti e attrezzature del dipartimento Insediamenti nell’Agenzia ebraica che svolse anche a Ginevra per qualche tempo e alla fine degli anni Sessanta, al ritorno in Israele, con la mansione di ispettore presso la Ort israeliana, la più grande organizzazione non governativa ebraica nel campo dell’istruzione e della preparazione tecnico-professionale che lo portò a impegnarsi nella formazione dei nuovi immigrati.
Solo con il raggiungimento della pensione, passando da una fase di lavoro febbrile a una di calma e riposo, Joseph ha avvertito l’urgenza di testimoniare e ha trovato – come scrive Anna Rolli nella prefazione – “la forza d’animo per confrontarsi con il passato, con quel passato, con i ricordi e con ciò che ancora ignorava e di cui non si era interessato fino a quel momento” per condividere con gli altri le sue esperienze di vita insieme a quelle di uomini e donne che ha avuto il privilegio di incontrare. Dopo aver tradotto e curato l’edizione italiana delle memorie di Simcha Rotem, membro del gruppo di comando della rivolta del ghetto di Varsavia, Anna Rolli ci consegna un nuovo prezioso tassello di storia che si inserisce nel più ampio mosaico della narrazione sulla Resistenza ebraica e lo fa con una scrittura che restituisce il linguaggio asciutto ed essenziale dei combattenti in un italiano elegante e raffinato. Un lavoro vieppiù pregevole anche per le difficoltà che la curatrice ha incontrato nel disporre delle memorie di Julek: dopo averlo frequentato per alcuni anni nel corso di soggiorni in Israele è solo nel 2016, poco prima di morire, che Harmatz consegna ad Anna Rolli il testo delle sue memorie nella versione in inglese ed ebraico e in quell’occasione le racconta a lungo della sua prima comandante Sonia Madeisker, una figura di cui Joseph in un capitolo a lei dedicato ricorda “il suo impegno, la sua forza d’animo e il suo spirito di sacrificio”. Rievocando le vicende dei combattenti ebrei che in Europa lottarono contro il nazifascismo e la cui storia è ancora poco conosciuta, “Il poeta e il combattente” ha un pregio indiscutibile: dare voce a quegli ebrei che, rischiando la propria vita, lavorarono per salvare gli altri e spazzare via il diffuso stereotipo sugli ebrei della diaspora descritti come vittime che si lasciarono condurre passivamente alla morte, pregiudizi storicamente infondati che opere come queste possono contribuire a estirpare restituendo la verità storica dei fatti.