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Parlare di “nuova guerra fredda” non ha senso Analisi di Antonio Donno
Alcuni osservatori scrivono di una “nuova guerra fredda” fra la Russia di Putin e gli Stati Uniti. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin e il sostegno dell’Occidente a Kiev sarebbe la causa di un rinnovato confronto russo-americano che si proietta su scala mondiale. Si tratta di un accostamento privo di sostanza storica, perché la tradizionale guerra fredda nacque dal conflitto tra due concezioni del mondo opposte e irriducibili. È questo un tema trattato in un’immensa storiografia e ancora oggetto di approfondimenti sulla base di nuove scoperte documentarie soprattutto nel campo comunista, i cui archivi contengono ancora documenti segreti. La realtà odierna del quadro internazionale è ben lontana da ciò che ha dato vita alla guerra fredda dalla fine del secondo conflitto sino al 1989-1991. La guerra fredda ebbe termine perché il suo messaggio ideologico, che avrebbe dovuto conquistare il mondo, soprattutto nella sua parte più povera e oppressa, si era dimostrato un fallimento completo, in molti casi un imbroglio.
La posizione attuale delle due potenze autocratiche è di tutt’altra natura. Il progetto della Cina non è di esportare il comunismo in ogni angolo del mondo – e Xi Jinping ne è perfettamente consapevole –, ma di rafforzare la propria posizione economica e politica in competizione con gli Stati Uniti e, più in generale, con l’Occidente democratico e liberale. La Cina non ha alcuna intenzione di aprire un nuovo capitolo di guerra fredda, perché nel programma di Xi Jinping non v’è traccia di una volontà di aprire una competizione basata sulla corsa agli armamenti per sostenere uno scontro armato con la democrazia liberale dell’Occidente. Il possesso dell’arma nucleare da parte dei due campi contrapposti esclude che si possa prospettare il pericolo di una Mutual assured destruction, perché ciò annichilirebbe i progetti di tutti i competitori.
Questo discorso vale anche per la Russia, ma i progetti di Putin hanno una valenza diversa rispetto a quelli di Cina e Stati Uniti. Si tratta di progetti che sono lontani dallo scontro ideologico che caratterizzò i decenni della guerra fredda, uno scontro tra due opposte concezioni del mondo. L’ambizione di Putin, detta in breve, è di riportare la Russia agli antichi fasti della monarchia zarista, non a quelli della fallimentare esperienza sovietica, riannettendo quei territori dell’Europa orientale che facevano parte dell’Impero zarista. Più volte, durante le sue apparizioni in video, alle spalle di Putin era poste la bandiera dell’odierna Russia e quella dell’Impero degli zar. Dunque, il progetto di Putin è di riportare la Russia ai confini imperiali di un tempo, restituendo al proprio Paese una posizione di vera potenza accanto a Cina e Stati Uniti.
Da questo punto di vista, l’ambizione di Putin non ha nulla a che vedere con il conflitto ideologico che caratterizzò gli anni della guerra fredda. La visione di Putin è di riportare la Russia sullo scenario mondiale come vera grande potenza accanto a Cina e Stati Uniti. In realtà, in questi anni, nelle analisi politologiche, si è spesso ripetuto che fossero tre le potenze in competizione. Il che non è vero. La situazione economica della Russia di Putin non è comparabile a quella di Cina e Stati Uniti. Le reali potenze odierne sono due e Putin lo sa bene. Da qui nasce l’ambizione di Putin di espandere i confini della Russia verso l’Europa centrale, ben sapendo, comunque, che i Paesi di quell’area da tempo fanno parte della Nato, prevedendo, giustamente, il pericolo del revanscismo russo. Di fronte a questa realtà, a partire dal 2014, Putin ha rosicchiato posizioni nel Caucaso, senza che gli Stati Uniti e le stesse Nazioni Unite battessero ciglio. Di fronte a tale inerzia, Putin ha compiuto un passo molto più audace, invadendo l’Ucraina, nella speranza di farla franca. Qui l’ambizione di Putin è scaduta nell’irrealtà.
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