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La Repubblica Rassegna Stampa
22.02.2023 La libertà contro la paura
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 22 febbraio 2023
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La libertà contro la paura»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/02/2023, a pag. 1-35, con il titolo 'La libertà contro la paura' l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

A destra: Joe Biden

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

La libertà di Joe Biden contro la paura di Vladimir Putin. Nel giorno in cui i leader di Stati Uniti e Russia duellano di persona sulla guerra in Ucraina le loro parole armate dimostrano l’entità del solco scavato in Europa dall’invasione russa iniziata il 24 febbraio dello scorso anno. Il presidente americano parla dal castello di Varsavia, circondato da drappi con i colori americani, polacchi ed ucraini per descrivere il conflitto ucraino come la battaglia fra «libertà» ed «autocrazia» dove non solo Kiev ma «tutte le democrazie» sono in gioco. Biden parla ai popoli dell’Est che fronteggiano la dittatura di Putin per assicurargli che «non ci stancheremo mai di difenderli» e si rivolge direttamente al Cremlino per fargli sapere che «non vincerà mai in Ucraina» e dovrà pagare per «gli odiosi crimini commessi». È la voce di un’America che guida una Nato più forte e coesa nella difesa dei valori minacciati dai tank russi, che si batte contro il despota del Cremlino guardando anche ai «tanti cittadini russi» che soffrono proprio a causa sua. La scelta della Casa Bianca è di sfruttare il primo anniversario della guerra per accelerare la pressione politica, militare ed economica - contro il Cremlino nell’evidente convinzione, condivisa con il presidente ucraino durante l’incontro a Kiev, che è la Russia ad essere più in difficoltà sul campo di battaglia perché ha meno risorse e meno voglia di combattere. In qualche maniera il discorso pronunciato poche ore prima a Mosca da Putin, davanti alla platea composta e plaudente della sua nomenklatura, deve aver avvalorato la lettura di Biden. Putin infatti ha riproposto la narrativa di una propaganda oramai logora - sull’Occidente che vuole distruggere la Russia e l’Ucraina suo strumento di punta - dedicando molto tempo a rassicurare il Paese sugli aiuti economici che lo Stato farà avere alla popolazione, quasi ad ammettere il rischio del crescente scontento interno. E sul fronte militare Putin non va oltre la difesa dell’«operazione militare speciale», non parla di guerra vera e propria rinviando la piena mobilitazione, ed ammette anche di dover allontanare le truppe dal fronte a causa dell’artiglieria e dei missili a lungo raggio che l’Occidente fornisce a Kiev, lasciando anche qui intendere evidenti difficoltà tattiche. È solo a discorso oramai terminato, quando il Cremlino forse si accorge dell’immagine non proprio vincente trasmessa dal suo leader, che Mosca fa sapere della decisione di sospendere la partecipazione dal Nuovo Trattato Start - l’ultimo accordo sul disarmo esistente con gli Usa, siglato nel 2010 per limitare i missili nucleari a lungo raggio - e diminacciare la ripresa dei test nucleari «se gli Stati Uniti lo faranno». Ovvero, Putin risfodera il linguaggio dell’escalation nucleare per proiettare paura in Ucraina, nei Paesi confinanti ed in Occidente confermando che questa è la strategia su cui ora punta per recuperare terreno in un conflitto da lui immaginato e voluto ma disseminato di gravi errori. È come se Biden e Putin vivessero nello stesso spazio ma in due tempi storici differenti: il presidente americano vede nelle trincee ucraine la nuova frontiera della democrazia contro l’oscurantismo della dittatura mentre il leader del Cremlino crede nella restaurazione del “mondo dei russi”, a scapito di altri popoli e nazioni, fino al punto da usare il linguaggio del nucleare. È una sfida a tutto campo che ha in palio i futuri assetti di sicurezza in Europa e spiega perché Zelensky abbia sfruttato la visita della premier Meloni a Kiev per farle presente che nessun compromesso è possibile con leader filorussi come Silvio Berlusconi, parte della maggioranza di governo a Roma. Come durante la Guerra Fredda lo scontro con l’Urss teneva i partiti comunisti lontani dai governi in Occidente, così durante lo scontro militare in Europa con l’autocrazia russa essere un alleato o partner di Putin significa portare pericoli inaccettabili alla sicurezza nazionale. Per la Meloni che sceglie di stare dalla parte dell’Ucraina aggredita non è possibile alcun compromesso con leader o partiti che guardano al Cremlino. Come avviene quando la Storia accelera, non è solo la geopolitica globale a ridefinirsi a seguito della guerra ucraina: lo stesso vale per gli equilibri politici dentro i Paesi di Nato e Ue. Ad aver capito il profondo impatto della giornata di ieri, è la Cina di Xi Jinping che si è affrettata a rilanciare e rafforzare la propria iniziativa per un piano di pace teso a “porre fine alla guerra ucraina”. Ad un anno da quando Pechino promise “appoggio senza limiti” a Putin, Xi ha infatti compreso che la resa dei conti in Ucraina fra Occidente e Russia minaccia i suoi interessi nazionali, a cominciare da quelli economici perché la guerra impedisce alla Cina di crescere grazie alla globalizzazione. Da qui l’idea di fare breccia fra i contendenti proponendo di salvaguardare l’integrità dell’Ucraina, proteggere gli impianti nucleari e impedire l’uso di armi chimiche. Xi cerca spazio perché si rende conto che stare alla finestra non basta più. Il conflitto accelera lungo il Dnepro ed appare destinato a cambiare gli equilibri del mondo.

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