Testata: La Repubblica Data: 21 febbraio 2023 Pagina: 3 Autore: Paolo Mastrolilli Titolo: «Dalla capitale in guerra lo schiaffo a Putin arriva l’apertura sui missili a lungo raggio»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/02/2023, a pag. 3, con il titolo "Dalla capitale in guerra lo schiaffo a Putin arriva l’apertura sui missili a lungo raggio" la cronaca di Paolo Mastrolilli.
Paolo Mastrolilli
VARSAVIA — Fino a qualche giorno fa, la narrazione prevalente sembrava la stanchezza occidentale nel continuare all’infinito gli aiuti all’Ucraina, e quindi le sollecitazioni recapitate al presidente Zelensky affinché considerasse di sedersi al tavolo delle trattative. La strategia resta quella di mettere Kiev nelle condizioni migliori per il negoziato, che prima o poi dovrà porre fine all’ingiustificata invasione di Putin, ma il raid di Biden nella capitale dimostra che queste speculazioni erano quanto meno affrettate. L’accelerazione militare e politica che ne emerge conferma che almeno per i prossimi mesi l’obiettivo è spingere per piegare Mosca, o convincerla che non potrà vincere la guerra. I pilastri di questa offensiva sono tre: la compattezza degli alleati e del fronte interno; gli aiuti economici e militari; l’affondo sulla debolezza di Putin. Spiegando ai giornalisti il senso della missione a Kiev, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha detto che voleva «lanciare un messaggio chiaro ed inequivocabile sul persistente sostegno all’Ucraina, e sull’unità dell’Occidente e della comunità internazionale nell’opporsi all’aggressione russa ». Sul fronte interno, la percentuale degli americani favorevoli a continuare le forniture militari a Zelensky è scesa dal 60 al 48%, e dopo che i repubblicani hanno ripreso la maggioranza alla Camera gli isolazionisti del Gop hanno rialzato la testa, con undici di loro che hanno presentato una risoluzione chiedendo la fine degli aiuti. Anche il governatore della Florida DeSantis, che insidia Trump nella corsa alla nomination per le presidenziali del 2024, ha criticato ieri Biden perché «si occupa dei confini di un paese lontano, matrascura quelli americani». Sul fronte internazionale, il tira e molla per i tank ha evidenziato differenze e resistenze tra alleati, per non parlare delle uscite putiniane di Berlusconi. La visita a sorpresa riafferma anche fisicamente l’intenzione di restare al fianco di Kiev fino a quando sarà necessario. Sul piano strategico, Sullivan ha ammesso che «i due presidenti hanno avuto una discussione dettagliata riguardo la situazione sul campo di battaglia, gli obiettivi dell’Ucraina, il sostegno militare e le capacità necessarie guardando avanti». Zelensky è sceso nei dettagli, rivelando che hanno parlato di «armi a lungo raggio e altri sistemi che potrebbero essere consegnati all’Ucraina». Il riferimento è ai missili Atacms e ai caccia F-16, che finora Washington ha negato perché teme vengano usati contro il territorio russo provocando la Terza guerra mondiale o l’uso delle atomiche tattiche. Il solo fatto che se ne parli, però, sembra ripetere lo schema con cui Biden ha progressivamente alzato il livello degli aiuti militari, e la logica politica è quella già illustrata da Victoria Nuland: «Anche in Crimea ci sono obiettivi legittimi per Kiev», come le basi dei droni iraniani. La responsabile politica del dipartimento di Stato ha detto che la guerra «finisce con un’Ucraina sicura e vitale, e Putin che zoppica fuori dal campo di battaglia. E spero finisca anche con una cittadinanza russa che dica: “È stato un pessimo affare per noi, vogliamo un futuro migliore”». Per centrare questi obiettivi è necessaria l’accelerazione militare, confermata dalle nuove forniture da quasi mezzo miliardo di dollari annunciate ieri tra munizioni per gli Himars, per gli Howitzer e i Javelins Fgm-148 per fermare i carri armati russi che decidessero di ripuntare su Kiev. La visita di Biden è anche un’umiliazione per Putin e alza il livello dello scontro personale, sublimato dalla sfida dei discorsi concorrenti che entrambi terranno oggi, il primo a Varsavia e il secondo a Mosca. Un anno fa il capo del Cremlino si aspettava di conquistare Kiev nel giro di una settimana, adesso deve testimoniare impotente la passeggiata davanti alla cattedrale del capo della Casa Bianca. Era stato avvertito in anticipo di qualche ora, ma solo per evitare incidenti, non per discutere un negoziato di pace, perché ormai le comunicazioni tra i due paesi sono ridotte al minimo sindacale della “linea rossa” a scopi di “de-confliction”. Meno male che funziona ancora, ma il messaggio a Putin è che la soluzione passa solo per il fallimento della sua invasione.
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