Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 19/02/2023, a pag.21, con il titolo "Il regime degli ayatollah è ormai spacciato in Iran arriverà uno tsunami rivoluzionario" l'intervista di Filippo Fiorini.
Marjane Satrapi
Marjane è una traslitterazione del suo nome in farsi, Satrapi lo stesso per il suo cognome, insieme tuttavia queste due parole significano molto di più. Sono la firma di una delle prime e più grandi graphic novel mai scritte, Persepolis. Oppure, sono un riferimento per l'emancipazione delle donne iraniane in particolare e di tutte le donne in generale. Ma significano anche libero pensiero, che si esprime con frasi visionarie, quali: «Il regime degli Aytollah è spacciato». Oppure sardoniche, tipo: «Le mie opere al mercato nero di Teheran mi hanno reso cool come i Rolling Stones». Ma anche commoventi: «I contadini curdi insegnano ai figli: per essere veri uomini, siate donne». Domani, Marjane Satrapi sarà a Bologna per inaugurare l'anno accademico dell'Unibo, l'università più antica al mondo (che ha recentemente perso uno studente nelle proteste in Iran), ieri passeggiava tra i boschi francesi, oggi è nella sua casa di Parigi, coi libri, il caffé in una porcellana bianca, la sigaretta fumata lenta, ma soprattutto, ciò che più di ogni altra cosa è diventata un simbolo della libertà di tutti i connazionali: i capelli neri e sciolti.
Rizzoli
Marjane, sta lavorando a una nuova graphic novel sulle proteste in Iran? «È presto. Le mie emozioni sono ancora forti e prima di farlo voglio essere lucida. Non voglio lasciarmi guidare da odio e vendetta. Poi, c'è un altro aspetto, è comodo parlare standomene qui seduta alla scrivania, mentre in Iran ragazze e ragazzi si fanno ammazzare. Chi sono io per intervenire adesso?».
Lei sarà anche seduta, ma Persepolis ha svolto un ruolo importante nell'emancipazione degli iraniani. «Persepolis è uscito nel 2000 e ha fatto il suo dovere, ma ora sono cambiate tante cose. C'è Internet. All'epoca in Iran c'era l'80 per cento di analfabetismo, ora le percentuali si sono invertite. Ho disegnatanche con altri artisti, per supportare la rivolta, ma non voglio usurpare ciò che è dei giovani iraniani. Questo è il loro momento».
Per un iraniano è possibile avere una copia cartacea di Persepolis? «Gli iraniani consumano la stessa musica, film e libri dell'Occidente. L'unica differenza è che per comprarli devono ricorrere al contrabbando. Quindi, per trovare Persepolis, basta andare al mercato nero e devo dire che la cosa mi fa sentire molto cool. Da ragazza ci andavo per i dischi dei Rolling Stones, adesso sono una degli Stones anch'io, da questo punto di vista».
Alcuni analisti osservano un calo nell'intensità delle proteste. Si stanno spegendo? «Le rivoluzioni sono come i maremoti. C'è un sisma sul fondale e sulla costa si annuncia prima con l'arrivo di onde basse, che rifluiscono e poi ritornano sempre più grandi, fino allo tsunami che spazza tutto. Un momento di riflusso nelle proteste, non segna la loro fine. Ciò che ormai è inesorabile, è piuttosto la fine della dittatura. Il regime è spacciato».
La preoccupa un'escalation di violenza, anche da parte dei manifestanti? «Sono certa che la violenza aumenterà anche da parte della popolazione. Quali alternative possono esserci, d'altra parte, davanti alle torture a cui stiamo assistendo? Le ferite agli occhi, agli organi genitali, gli stupri?».
Qual è la ragione di un'adesione così diffusa alla rivolta? «Ci sono tanti elementi, soprattutto generazionali, a incominciare dal fatto che i giovani iraniani oggi non hanno vissuto la guerra con l'Iraq e la rivoluzione degli Ayatollah. Sono nati sotto la dittatura e ora ne hanno abbastanza. Poi c'è una questione di genere, la solidarietà dei maschi verso le donne. Ho parlato con un contadino curdo e mi ha detto: "Ai miei figli spiego che, se vogliono essere veri uomini, devono essere donne"».
Ha sentito che uno studente dell'Università di Bologna è stato ucciso dalla polizia politica? «La storia di Mehdi mi ha toccato. Era tornato a Teheran da un paio d'anni e si è fatto contagiare dal coraggio».
Come immagina l'Iran libero? «L'Iran libero sarà un vantaggio per il mondo intero. Pensate solamente ai commerci che si aprirebbero per l'Europa o l'Occidente. La nostra è una società progressista. È evoluta dal punto di vista culturale e tecnologico. Per esempio, il 20 per cento degli iraniani si dichiara ateo. Sono percentuali che si vedono raramente anche in Occidente. Gli unici che non se ne accorgono, sono i gerarchi del regime».
Come crede che sarebbero trattate le autorità e le persone che hanno collaborato col regime, se questo fosse abbattuto? «Spero che si possa processarli. È importante capire, spiegare perché hanno fatto tutto questo ed evitarlo. In Iran c'è un grande lago salato, si chiama Lago di Urmia. Oggi è praticamente prosciugato ed è colpa dell'incuria amministrativa. Ecco, dopo il processo i torturatori dovrebbero essere obbligati a riempire nuovamente d'acqua l'Urmia con una tazzina di caffè come quella che ho in mano io adesso».
Crede che se in Iran cadesse l'obbligo di portare l'hijab, altre nazioni dell'area seguirebbero la stessa strada? «Credo proprio di no. In paesi come l'Afghanistan e l'Arabia Saudita le donne sono sole e difficilmente riusciranno a imporsi senza un appoggio più largo. Non fare concessioni è nella natura stessa della dittatura, altrimenti che dittatura sarebbe? In Iran, la popolazione è unita».
In Europa ci sono nazioni in cui l'uso dell'hijab è vietato. Che ne pensa? «Queste leggi sono state concepite come rottura dei dettami famigliari, per sradicare quel concetto che è dell'Islam, ma anche del cristianesimo e altre religioni, per cui il peccato originale sta nella provocazione sessuale che la donna esercita sull'uomo, attraverso per esempio i suoi capelli. Credo che la soluzione sia l'educazione».
Lei non può più tornare in Iran. Ha mai pensato a cosa farà quando le sarà concesso? «Per potere, posso. Ma se lo facessi mi accadrebbe qualcosa di brutto. Quando l'Iran sarà libero, andrò a prendere un bel pezzo della nostra mortadella in un posto che conosco a Teheran. Si chiama mortadella come la vostra, ma quella iraniana ha molti più pistacchi. Difronte al locale c'è una panchina. Mi siederò lì a guardare le montagne e mangiare la mia mortadella piena di pistacchi, libera e senza velo».
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