Giorgia Meloni a Kiev Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 19 febbraio 2023 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «A Kiev un test per Meloni»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/02/2023, a pag. 1, con il titolo "A Kiev un test per Meloni" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.
A destra: Giorgia Meloni
Maurizio Molinari
Volodymyr Zelensky
Kiev aspetta Giorgia Meloni tradendo la stessa curiosità che si respira a Washington nei confronti del nostro Paese: dopo la nascita del nuovo governo siamo diventati il partner più debole della coalizione pro-Ucraina? Tanto il presidente di Kiev che l’amministrazione Usa restano convinti della serietà dell’impegno della premier italiana nel sostegno politico-militare all’Ucraina ma il dubbio non riguarda lei bensì il governo che guida, ovvero la sua capacità di tenere sotto controllo Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, entrambi assai vicini al presidente Putin. Ecco perché è prevedibile che Zelensky farà a Meloni domande assai esplicite sullo schieramento italiano e sull’ipotesi che possa cambiare, creando una frattura nella Nato. Tutto ciò è il frutto dell’incertezza che serpeggia fra gli alleati sulla solidità dello schieramento euro-atlantico di Roma contro l’aggressione russa a seguito di una molteplicità di episodi, più o meno noti, che si sono sommati negli ultimi mesi. Se infatti non possono esserci dubbi sulla volontà di Meloni di essere parte della coalizione pro-Ucraina — fornendo armi a Kiev ed applicando le sanzioni alla Russia — e sulla fedeltà atlantica di un ministro degli Esteri come Antonio Tajani, più campanelli d’allarme hanno catturato l’attenzione dei nostri partner, sollevando perplessità. Il primo e più importante segnale “insolito” è stata la scelta del basso profilo sul sesto decreto per autorizzare armi a Kiev accompagnato da una partecipazione anch’essa assai defilata all’ultimo incontro di Ramstein, in Germania, fra i Paesi che inviano aiuti militari agli ucraini. In passato, durante il governo Draghi, l’Italia era stata protagonista di tali occasioni, le sfruttava per comunicare chiaramente — non solo ai partner ma anche alla propria opinione pubblica — l’importanza del sostegno militare ad una giovane democrazia europea aggredita. Questo cambiamento di narrativa ha colpito più capitali alleate perché se è vero che l’Italia non dispone di carri armati da donare — a differenza di Olanda, Germania o Polonia — ed è — come molti altri Paesi — a corto di munizioni da inviare, è altrettanto vero che l’invio di una batteria antimissile Samp-T si è rivelato incredibilmente complesso per non parlare della scarsità di proposte italiane su altri progetti di breve e medio termine. Poi c’è la formula “aiuti umanitari” che sempre più spesso si affaccia nelle dichiarazioni dei ministri, dando l’impressione di un voluto distacco dal riferimento alle forniture militari. «È come se l’Italia improvvisamente avesse messo il freno, pur restando nella coalizione» spiega una fonte diplomatica europea a Bruxelles, aggiungendo che «le ben note posizioni diBerlusconi e Salvini contro le sanzioni alla Russia e contro l’invio di armi a Kiev» fanno sorgere in molti il sospetto che «Giorgia Meloni incontri forti resistenze interne sull’impegno a fianco di Zelensky». Il pericolo è un’Italia in crescente sintonia con l’Ungheria di Orbán, il partner Ue più vicino a Mosca sull’Ucraina. In tale cornice l’opposizione del governo — espressa dal leader della Lega Salvini — al video di Zelensky a Sanremo, obbligando la Rai a ripiegare sulla lettura di un suo testo scritto, ha aggiunto un tassello di cultura nazional popolare alle posizioni politiche filorusse. Tanto più significativo quanto, a fronte del veto di Sanremo, Zelensky è intervenuto in video senza ostacoli in una moltitudine di eventi culturali, ultimo il Festival internazionale del film a Berlino. Ma non è tutto perché la destinazione della raffineria di Priolo, in Sicilia — venduta in autunno dalla russa Lukoil — ha aggiunto un nuovo fronte, questa volta economico, perché il governo italiano avrebbe favorito per l’acquisto una compagnia cipriota — considerata vicina ad interessi russi — rispetto ad un concorrente americano. Ora Meloni deve decidere se usare o meno il Golden power per rimescolare le carte ma l’attesa si prolunga e moltiplica, anche qui, le incertezze. Se a tutto ciò aggiungiamo che alla Conferenza sulla sicurezza in corso a Monaco l’Italia è rimasta sullo sfondo, non è difficile arrivare alla conclusione sul perché così tanti alleati e partner si stiano interrogando su “cosa sta avvenendo a Roma”. Una domanda complessa perché investe direttamente la credibilità della premier in ragione dei suoi rapporti altalenanti con Parigi e Berlino, a causa di incomprensioni e disaccordi su singoli argomenti — dai migranti agli aiuti di Stato — con Macron e Scholz. Un’Italia più lontana dai maggiori partner Ue significa infatti una coalizione europea sull’Ucraina inevitabilmente più debole. Da qui l’opportunità che Meloni ha di sfruttare la visita a Kiev, a ridosso del primo anniversario del conflitto, per un incontro con Zelensky a tal punto franco e solidale da fugare ogni possibile dubbio sullo schieramento italiano come sull’intesa personale e politica fra i due leader. Annunciando magari decisioni strategiche e forniture di armi capaci di restituire all’Italia un ruolo di primo piano nella coalizione di democrazie che si oppone all’aggressione russa ordinata da Vladimir Putin. Si tratta di un test politico tanto più importante quando sul campo di battaglia gli ucraini si preparano a fronteggiare una poderosa offensiva russa di terra intenzionata a consolidare il controllo sulle regioni del Sud per rilanciare la sfida a Kiev.